«Che io possa trovare la serenità per accettare le cose che non posso cambiare; il coraggio per cambiare le cose che posso cambiare e la saggezza per distinguere le une dalle altre. Che io possa vivere un giorno alla volta, godendo di ogni istante, accettando le difficoltà come una via per la pace». (Anonimo buddista)
Riflessioni atipiche. Vi è mai capitato di sentirvi perplessi senza rimedio e non comprenderne il vero motivo? Le circostanze si susseguono senza sosta, il tempo incalza, procede rapido e inesorabile verso una mèta indistinta. Persino le ombre si defilano senza che si riesca a focalizzarne il profilo. Il nocciolo di ciascun problema diventa evanescente, si sottrae alla benché minima analisi, si nasconde. Siamo come un’immensa periferia. E al centro una sorta di vuoto apparentemente incolmabile.
Bene, ci sentiamo così titubanti da mascherare il sentimento d’ignoranza che ne deriva con l’agghiacciante, finta, arrogante sicumera del mentitore incallito. Sicché cominciamo ad aderire ai miti che la cultura contemporanea ci propone. Cerchiamo cioè di riempire ciò che sembra vuoto con un indefinibile, oscuro mucchio di contenuti fittizi. Tuttavia, mentre ci illudiamo d’aver risolto l’enigma esistenziale, il terreno continua a scivolare sotto i propri claudicanti, malcerti, piedi d’argilla. Le fondamenta della singolar magione ideologica che con tanto sacrificio abbiamo così costruito risulteranno meramente poggiate a un sottofondo di viscido limo. Sennonché fin dai primi inattesi, inopinati eventuali sussulti, ci ritroveremo in balia della più truce incertezza, del più ostile disagio, del più effimero progetto di vita giammai concepito.
E mentre le originarie prerogative d’ordinaria opulenza sfumano viepiù in un presente d’incalzante straordinaria precarietà, ci atterriamo a tal punto d’attribuire all’altro, a qualunque soggetto relativamente estraneo turbi la propria oppiacea coscienza, ogni colpa, ogni angustia, ogni disagio. Sicché ci ritroviamo, in men che non si dica, ad abbracciar le più truci tra le nefandezze giammai concepite: xenofobia, nazionalismo, razzismo, apartheid, intolleranza, fanatismo, pregiudizio, autoritarismo, assolutismo, dogmatismo … derive reazionarie, scarsamente democratiche e per nulla trasparenti … chi più sa più ne aggiunga. Un elenco così dispregevole che non riesco nemmeno a compilare. Amici, esiste davvero qualche volontà all’infuori o al di là di ciò che emerge dai nostri stessi cuori e l’empatia traspone in azione? Cerchiamo la volontà d’amore e traduciamola in esiti concreti. Solo quella riuscirà ad arginare le velleità d’ogni sopruso, a superare la precarietà dell’indigenza, a restituirci la gloria del successo. Parole al vento? Nient’affatto.
Sediamo silenti ogni mattino, ogni crepuscolo, ciascun momento d’opportuno relax si renda disponibile. Non riflettete più, non meditate, non sforzatevi affatto. Non concentrate il vostro spirito, avverrà comunque senza che l’abbiate nemmeno desiderato. Dritti, ma flessibili come docili, consentite che il vento dell’accettazione vi culli dolcemente finché gli eventi dell’attesa non si trasformino in un unico happening spirituale. Lasciate che il mondo accada, che il giorno si traduca nella notte, che l’energia dell’odio si trasformi in compassione, che l’incostanza s’attenui. Se la coscienza incontra il respiro, consentitegli di seguire il suo corso. L’esistenza non è più un fenomeno estraneo, qualcosa d’affrontare o superare, tanto meno subire. Siamo tutt’uno con la vita. La forza dello spirito, la chiara luce della consapevolezza, s’irradierà dunque attorno a voi. Il relax ha consentito la concentrazione. Siete divenuti tutt’uno con l’amata, con i cari, con il melo che rallegra il luminoso giardino della limpida, rinnovata coscienza interiore. Ed è meditazione …
Non appena saremo relativamente più calmi — e nel prosieguo dei giorni via via più avvezzi — coglieremo l’essenzialità della natura primeva, scorgeremo il tesoro custodito nella nostra stessa coscienza, ne rinverremo la fonte ivi sottesa, beneficeremo di vitalità, coraggio, fermezza, tolleranza e benevolenza tali che altrimenti non avremmo osato nemmeno sperare … Proprio così, dopo qualche minuto potremo riprendere la routine, le consuete ordinarie intraprese.
Buongiorno, non è mia abitudine rispondere ad articoli che leggo, ma in questo momento è doveroso: GRAZIE per queste parole che incarnano il mio attuale essere in carne viva…la sofferenza per il terreno argilloso sul quale poggiano i miei piedi nudi, l’incertezza per il divenire, l’incapacità di accettare un presente che sta mutando in qualcosa di inumano…grazie per avermi aiutato a definire il tumulto provo. E’ arrivato il tempo di comprensione di chi vive nell’accidentale e chi nell’essenziale. E io non so perchè ma non riesco a gioire come invece potrei se solo cogliessi uno spiraglio di luce. I realtà, come lei ha concluso, mi sono presa un periodo per pensare…un lusso….una necessità oserei dire …. rinunciare temporaneamente al lavoro probabilmente non è una rinuncia ma una proposta di vita essenziale