Le domande non sono mai banali. Quando sorgono dall’intimo e si confrontano con il proprio vissuto rappresentano la strenua voce della conoscenza che arranca verso l’orizzonte mobile dei desideri insoddisfatti.
Questo messaggio lo ricevetti molti anni fa. Nonostante risposi quasi subito, ho tergiversato un po’ prima di pubblicarlo. Il nome del mittente è solo indicativo: Marisa. Il soggetto dell’argomento: gli attaccamenti.
Quesito
Salve, sono capitata sul sito per caso …, ho letto e mi sembra tutto interessante. Coincide a grandi linee con la mia personale ricerca interiore ormai cominciata da qualche anno. Mi areno però in una semplicissima, banalissima e umanissima difficoltà: l’attaccamento alle persone.
Come si può non vedere più nel qui ed ora una persona a cui siamo molto legati? Come si può non sapere più nulla di questa persona, nel bene, come nel male?
Sono d’accordo che l’amore non è possesso, non è attaccamento, e che va coltivato ed allenato, tant’è che mi sto allenando ogni giorno per questo, ma è innaturale distaccarsi così da qualcuno che amiamo. Come può una persona molto spirituale insegnarci, indicarci il cammino, volerci bene ma poi staccarsi da noi come se non fossimo mai esistiti?
So che le sto facendo una domanda banale e forse fuori luogo, ma… mi piacerebbe sentire un suo parere.
Complimenti per il sito, è molto ricco di spunti e riflessioni.
Marisa.
Risposta
Gent.ma Marisa, perché non dovresti vedere o saper più circa una persona verso cui nutri affetto? Tra l’altro, il vero amore non può essere coltivato, ma dovremmo tentare di scoprirne la fonte, che può coincidere, dipende dai punti di vista, con la nostra interiorità, come con Dio. In pratica occorrerebbe rendersi conto di quanto l’altro sia davvero artefice delle nostre emozioni, ovverosia il riflesso delle stesse. Qui e ora, mentre il profumo dell’amorevolezza ti sommerge e gratifica, la compassione s’afferma ad ogni livello, nell’adesso come nei ricordi, perché non v’è più nulla che la trattenga e soggioghi al passato, né la sospinga verosimilmente verso il futuro. Nella presenza di spirito ti riconduci gradualmente e spontaneamente verso l’equilibrio riuscendo ad attribuire ad ogni circostanza le valenze intrinseche.
Basta osservare sinceramente, prodigarsi verso chi ne abbia davvero bisogno, ma senza atteggiarsi a soccorritore, nella consapevolezza che ciascuno offre spiritualmente la comprensione che ha già conquistato. Gli attaccamenti si evolveranno da sé senza che tu debba rinunciare alla gioia di provar tenerezza, simpatia, propensione, feeling o amicizia. L’unica accortezza è la cautela di privilegiare il buonsenso della moderazione, ciò che ad esempio, i buddhisti chiamano Via di Mezzo. La ricerca dell’equilibrio è già, di per sé, un’ottima tecnica di meditazione. Giacché la mente che vive soprattutto negli estremismi si ricondurrà, da sé, alla calma e al silenzio. Le onde dei pensieri si placheranno spontaneamente e la superficie dello specchio interiore ti permetterà d’intravedere in profondità.
Distacco
Fin qui la risposta iniziale. Quanto segue l’ho aggiunto in un secondo momento per integrare l’articolo.
Mi sembra improprio definire come distacco la sensazione di relativa separazione o indifferenza che sperimentano i meditatori più adusi. Ciò che accade in pratica è semplice: non ci si sente più così coinvolti fino al punto da dimenticare se stessi. Non ci si sente più così identificati da sprofondare nell’inconsapevole cecità dell’eccitazione senza rimedio. Purtroppo il mio apice non è una vetta di coscienza tanto elevata… Interloquisco dalla tua stessa valle, soffro per i legami eccessivi e ne risento quando mi ritengo tradito. Ma è un attimo! Sicché evito di mostrare apertamente il sorriso di noncuranza con cui procedo verso la meta. O è la metà? Mezzo ignorante, come un bicchiere semivuoto, o un po’ più saggio, in guisa di un lieto calice quasi pieno?
Il distacco cui molti anelano per rifuggire dalle spire dello stress che appiattisce e comprime spiritualmente non è una scelta. Coloro che ritenendo di poter manipolare così agevolmente i propri stati di coscienza si mortificano o s’impongono modelli ideali cui conformarsi pedissequamente, incorrono spesso in singolari abbagli. Siedono purtroppo sulla bocca di un vulcano quanto mai pronto a rigurgitare sotto forma di malesseri esistenziali d’ogni sorta la repressione cui si si furono inopinatamente o ingenuamente assoggettati. Ovviamente non sto esortando al libertinaggio morale. Sottolineo invece l’importanza della consapevolezza. La coscienza spirituale parte sempre da constatazioni apparentemente elementari come, ad esempio, l’osservazione del proprio respiro, per espandersi, successivamente, sino ad abbracciare la vita intera.
Epilogo
Personalmente considero l’osservazione del flusso naturale del respiro come rifugio quando mi sento troppo coinvolto. Beh, più che un rifugio, un tempio di quiete, di calma. L’incommensurabile eremo di pace, dove la mente si distende e ogni elemento si ricolloca esattamente laddove dovrebbe essere. L’unico cielo solerte e disponibile per chiunque voglia ristabilire un’equa distanza tra se stesso e la miriade di microscopici eventi che turbinano, loro si, impassibili, sullo sfondo della propria inalterabile coscienza. …