Yoga è consapevolezza che il nostro io non è limitato a questo corpo fisico, ma comprende le innumerevoli espressioni della vita inanimata, le sorprendenti manifestazioni di quella animata.
Come può la coscienza individuale espandersi al di là delle limitazioni contingenti? La coscienza di sé di una persona è tanto maggiore quanto più il suo pensiero è calmo e silente. Allorquando si è davvero consci di sé stessi, si diviene altresì consapevoli di non essere isolati, che la vita reale non è mai ambigua. La sua conoscenza è come un atto d’amore.
Lo Yoga è l’arte della complementarietà. La tradizione sostiene che l’umano si aprirà al divino per riceverlo in sé. D’altro canto il divino riverserà provvidenzialmente la sua essenza spirituale sull’umano per beneficiarlo e glorificarlo. Ma è davvero così?
Umano e divino sono due lati di una stessa medaglia, l’essere. Due aspetti reciproci e apparentemente divisi. In genere la nostra attenzione si focalizza sull’uno o sull’altro per motivi contingenti, di necessità. Quando prevale l’azione fisica o mentale tutto il resto appare inutile, inefficiente e viene relegato in secondo piano. Viceversa, quando subentra la calma, il raccoglimento interiore spontaneo, il relax, sembra che nulla potrà mai più disturbarci, distoglierci, nemmeno l’eco del chiacchierio periferico della mente.
In questo stato, nell’illimitato spazio del silenzio, la distanza tra una nuvola pensiero e quella successiva sarà sempre più ampia sino a divenire pressoché incolmabile. Quello spazio e quella distanza sono il vuoto. Essi sono lo spirito, sia il centro della ruota che la cavità dell’anfora. Rappresentano tutto il valore, il significato e l’utilità della vita. Ne sono l’essenza, tuttavia è difficile contemplarli e conoscerli subito, in certi casi sarebbe persino fuorviante. Per fortuna esistono delle alternative. Prima di chiarire meglio, però, ampliamo la nostra rapida disamina.
Una breve considerazione sulla pace. Coloro che hanno seguito sin qui i nostri pur modesti ed estemporanei suggerimenti sulla meditazione si troveranno nella giusta condizione di spirito per comprendere appieno il senso della pace. Di più, in un mondo martoriato, come sempre d’altronde, da guerre e catastrofi in atto o incombenti, la più alta espressione della propria umanità è quella di rendersi pacificatori. Agire come tali in ogni circostanza, perché il beneficio individuale è incalcolabile, profondo, duraturo e ineffabile. Tra i meandri dell’impermanenza l’azione che promuove la pace, sia nei piccoli frangenti quotidiani che nelle circostanze più complessive e globali per le quali è indispensabile superare altresì fattori d’estrema ignoranza, tale azione genera senz’altro compassione e ci consente di meditare fermamente sostenuti dalla certezza implicita di operare, comunque, per il meglio e per il giusto.
Riporto un succinto richiamo del mio insegnante di meditazione.
«Ascolta, amico, dentro di te non c’è nulla che non sia già perfetto o sublime e non esiste nessuna differenza o distanza tra te stesso ed il tuo io interiore! Chiaro? Quello, il tuo io interiore, devi considerarlo solo come una porta. Non esitare, di tanto in tanto dai un’occhiata all’interno. Ma non direttamente. Sarebbe quasi inutile, pressoché inefficace. Comincia ad osservare, due volte al giorno e per quanto tempo preferisci, il flusso naturale del tuo respiro. Dopo un primo insignificante periodo di ristagno apparente le tue energie sopite acquisteranno una vitalità stupefacente. E un bel giorno, quando non ci conti più, avrai la sensazione che al tuo cospetto si sia aperta o rivelata una nuova opportunità. In effetti non ti servirà oltrepassare alcuna soglia virtuale, perché quando la vedrai ti sarà sufficiente contemplarla e ci sarai già dentro, avrai prodotto da te stesso il tuo personale nirvana.»
Quando il nostro esercizio meditativo avrà superato le fasi preliminari e sarà divenuto un’abitudine ci capiterà inevitabilmente di sentirci più amichevoli, comprensivi, tolleranti, in “pace” con chicchessia. Ebbene, tale sensazione di pace, percepita nel silenzio di un appropriato raccoglimento, è un elemento di grande interesse su cui far convergere la propria attenzione.
In genere riconosciamo e comprendiamo la nostra natura essenziale indirettamente, tramite le sue peculiarità. Una di queste, chiaramente basilare, è la pace. Quando l’attenzione si focalizza sulla pace, come peraltro è possibile e auspicabile su molte altre prerogative altruiste, in modo continuo, naturale e per un congruo, ma imprecisabile lasso di tempo, in tal caso la pace diventa la soglia sempiterna che coniuga l’immanente al trascendente, il caduco al perenne, il nostro piccolo, condizionato, evanescente e limitato ego al divino, all’incommensurabile. Eppure, a ben vedere, nonostante la descrizione di tal viaggio immaginifico, non ci saremo spostati di un solo millimetro. Saremo qui, ora, ancora un po’ delusi e arrabbiati, speranzosi e sognatori, ma sempre pronti a procedere lungo l’antico cammino, tornare indietro, guardare avanti, segnare il passo.
Contemplare in tranquilla e vigile considerazione la pace, senza oggetto, è sicuramente possibile in quanto, nel caso in questione, non si tratta della proiezione di un’idea, ma della percezione di un evento astratto, di uno stato di coscienza interiore, realizzato e non immaginato, capace di riflettersi all’esterno, dovunque. Ed essa assumerà il colore verde dei prati, l’azzurro del mare o dei cieli, l’aspetto di un mandorlo in fiore o di qualunque creatura vivente. Si tingerà coi colori dell’arcobaleno per consentire l’alternanza armoniosa, il risorgere continuo del sole, l’affermazione della vita. Se parlassimo dell’effluvio dei sorrisi sui volti dell’innocenza saremmo superflui. E’ meglio andare al di là delle apparenze di certi atteggiamenti retorici, ipocriti o irridenti che di fatto celano solo la cupidigia dell’inconsapevolezza per cogliere lo sguardo grato e sorpreso della riconoscenza amorevole.
La pace cui ci siamo riferiti è la sintesi di amore e odio, egoismo e altruismo. Tale pace non è il contrappunto della guerra, bensì ciò che si manifesta alla fine del conflitto interiore. Quando la realizzazione della Verità rigenera le lacerazioni dell’ignoranza.
Come consuetudine, ecco in sintesi un breve suggerimento pratico.
«La meditazione attiene innanzitutto alla sfera del fare, dell’agire. Non farti trarre in inganno dalla quiescenza, ovvero dalla inattività e dalla quiete ch’essa comporta. L’arresto delle funzioni mentali corrisponde all’arresto della mente in quanto padrone. In tal caso la mente non sarà più un fenomeno disordinato e anarchico, bensì uno strumento duttile e generoso, capace di generare ordine ed energia. La calma, la tranquillità di spirito, il distacco che deriva dalla sensazione di padronanza della mente sono solo secondari, cioè conseguenti e inerenti allo stato meditativo. Ne deriva che non è consigliabile star li ad attendere che una qualche grazia ti piova dal cielo. Muoviti, cioè tenta di divenire più attento, consapevole, sollecito. Per quanto non sia indispensabile adotta una tecnica. Oppure, ed è lo stesso, non fare nulla, ma ad una condizione, evita di essere ripetitivo, non agire meccanicamente, sii presente a te stesso come a tutte le tue azioni.»
Epilogo
La pace non è una condizione alternativa, essa è la “Via di Mezzo”, equilibrio e armonia. L’amore e la compassione non sono affatto circostanze teoriche. D’altra parte gli individui crudeli sono sempre esistiti. Ciò nonostante, nel mondo contemporaneo, le moltitudini indirizzano loro continui inviti alla moderazione. Tali soggetti accoglieranno gli appelli che vengono loro rivolti? Riusciranno a ravvedersi? Essere in pace con se stessi significa anche trovare la pace con gli altri e diffonderla dovunque. In tal caso i semi delle nostre azioni non produrranno più angosce, strazi o supplizi. E persino i violenti percepiranno un accenno di luce. Non più tenebre, bensì giustizia, mai più rivalità, piuttosto generosità e meraviglia.