Lungo il percorso di meditazione. Riconosci la vacuità, ti accompagna dovunque, come inseparabile amante. Girovago, peregrino, è la tua medesima ombra, ma non ne sei consapevole.
«Grande maestro – disse Upasiva -, quando si è esenti da attaccamenti e da brame, quando ogni cosa è stata lasciata andare e ci si affida soltanto al vuoto, si resta permanentemente in quello stato?». «Quando si è esenti dalla brama di piacere dei sensi e si è coscienti della vacuità – rispose il Budhha –, si è liberi in modo supremo e ciò non cambierà. Come una fiamma investita da un colpo di vento in un attimo si spegne, così, la persona tutto a un tratto è libera e nessuna parola può più essere detta. Quando l’io, il me e il mio vengono lasciati andare e tutti i fenomeni sono visti come vuoti, allora anche tutti i modi di descrivere questo stato ugualmente spariscono».
(Parole del Buddha, “Vacuità” – Sutta Nipata)
Quando si è esenti da attaccamenti e da brame…, afferma il Buddha. Quando si è esenti dal persistente condizionamento dell’ego…, mi permetto, umilmente, di precisare secondo una terminologia in fondo in fondo relativamente più attuale. Quando si è esenti dalle sovrastrutture ideologiche che tentano di distorcere senza riguardo alcuno persino le più elementari tra le constatazioni, il vuoto tra i picchi di due montagne, il vuoto tra il passaggio di due nuvole, il vuoto che si genera tra le creste spumose di due prepotenti, svettanti, onde marine.
Ovviamente non si tratta del vuoto inteso come mera passività. Oppure del silenzio concepito come mancanza di suoni … o più in generale come assenza di stimoli sensoriali. Questo vuoto è una sorta di mistero su cui innumerevoli commentatori si sono da sempre cimentati, ma senza conoscerlo, talvolta senza nemmeno sfiorarlo. Giacché se l’avessero minimamente incontrato avrebbero saputo che … ma ecco il problema: se mi mettessi a parlarne apertamente farei la figura di colui che vuol lasciar intendere d’averlo pienamente esperito.
L’ho intravisto, mi ci sono ritrovato dentro improvvisamente. Mi è sembrato un insieme di calma, silenzio, pace, tranquillità e riposo, congiuntamente a rimembranza e presenza. Dapprincipio sembra un luogo presso cui poter dimorare. Successivamente diviene come la coscienza medesima. Dapprima ci si specchia in quell’infinito celeste. Più in là s’avverte un’integrazione viepiù profonda. E’ il cammino, o un inizio di realizzazione dello stato di percezione indiviso.
Come vedete nulla di fenomenale o eclatante. Ovviamente l’esperienza lascia uno strascico, ma solo conseguenze positive. Un lieve sentore d’accondiscendenza, una tiepida sensazione di soddisfazione, una percezione più chiara, una mente relativamente scevra da quella sorta di dialogo persistente che attribuisce etichette verbali ogni dove. Una mente che incomincia a sentirsi libera dall’occorrenza quasi convulsa a giudicare.
La vacuità non è un fenomeno da ricercare, una circostanza da subire, un’evenienza da incontrare. La vacuità è la natura più profonda di tutti i fenomeni, la loro essenza. Supponiamo di osservare un oggetto. Quando lo si contempla abbastanza a lungo si giunge al momento in cui l’oggetto stesso sparisce. I motivi sono diversi. Il più importante dipende dal fatto che la mente, la coscienza ordinaria, non è un fenomeno statico, ma un flusso. Se l’attenzione si sofferma con insistenza su di un particolare, quello sembra dissolversi. In sua vece subentra un’ulteriore qualità, l’assenza. Sarebbe meglio dire che la distanza diventa così grande da lasciare l’impressione di un vuoto.
Un respiro è andato. Prima che gli subentri la controparte, il soffio ristoratore di un’ulteriore privilegiato appannaggio, ecco una pausa. Se presti sufficiente attenzione realizzi l’ascesa di un vuoto intrinseco. Ma non è deficienza, quella è la somma di tutta l’energia.
Un pensiero è venuto. Appena qualche attimo prima che abbandoni l’orizzonte dei ricordi, ecco il difetto, la repentina lacuna, un nulla tanto più vago, quanto incerto e generico. Ma non è confusione. Attendi un po’, vedrai … sorridere.
Una calma gioiosa ti sovviene. Avido come sempre ti ostini a trattenerla. Ne raggeli la repentina istantanea, ma è un semplice frame che ti piacerebbe protrarre in eterno. Quindi l’afferri, lo stringi con forza in pugno. Ma lo soffochi e quando dischiudi le tue prensili, cupide dita, non ti rimane altro che un’incoercibile vuoto. Osserva il palmo esangue. Pazienta ancora, vedrai la vita rifluire silente senza sdegni o amarezze … questo è l’amore.
Medita su ciascun aggregato. Se gli dedichi sufficiente attenzione ne coglierai l’intrinseco, il nucleo, l’aspetto impermanente. Un po’ di pazienza ancora e ne disveli il segreto. La vacua quintessenza.
Ora rilassati, hai un’occasione per chiudere gli occhi. Immaginifiche folate di vento investono la tua presunta aura purificando ciò che ambiziosamente ritieni ancora di essere. Innumerevoli gocce di sferzante rugiada piovono come lucciole. Un profluvio d’inusitata effervescente freschezza satura il tuo loto dai mille petali. Sei così sbigottito, ma sincero, d’accogliere, per trasmutare, l’odio di chi intende strumentalizzarti, sfruttarti e ferirti, in amore. Ebbene, dal vacuo nulla emerge improvviso un travolgente maroso. Hai l’impressione d’assistere ad eventi che trascendono l’ordinarietà? Non temere, si tratta del guizzo dispensatore. Ti dona solo un po’ di consapevolezza, come un arcano specchio che ridà a ciascuno … un po’ del suo.