Si tratta di considerazioni formulate, come sempre, in prospettiva spirituale. Non sto, quindi, per dare una definizione di mente. Ci mancherebbe. Tento, semmai, di conciliare ciò che crediamo di sapere sulla mente con la meditazione e quindi la trascendenza. Questo genere di articoli non sono in stesura definitiva. Si sviluppano e vengono integrati in itinere. Esattamente come tenteremo subito cercando di procedere dal cielo interiore che comprende il flusso dei pensieri – che interagiscono – o mente, alla loro relativa quiescenza, o non-mente.
Il cielo interiore
Percepire il cielo interiore, sempre che esista? Niente di più arduo. Potremmo tentare d’intuirlo. Ecco un approccio relativamente utile.
- Non porre freni alla mente se non quelli naturali dettati dal buon senso, ora come ora noi siamo la mente.
- Non creare barriere antidisturbo se non quando davvero necessario. Prendi semplicemente atto dei vari suoni, sono un’opportunità.
- La meditazione – che stiamo per intraprendere – non è concentrazione o contemplazione. Certo, una pur minima attenzione o presenza di spirito è indispensabile, ma oltre è deleteria.
- Quanto tempo ti necessita? Né dieci, né venti, né trenta minuti … mi spiego … ti stai rivolgendo verso un ambito particolarmente sacro, la tua interiorità, quindi considera che è indispensabile il massimo rispetto, tutta l’amorevolezza possibile, sia per te stesso che verso gli altri. Che sono dieci, venti, trenta minuti? Se preghi ti prefiggi forse un tempo determinato?
Ecco, quindi, una “meditazione” possibile. Siedi confortevolmente, ma senza schienale. Rimani con ciò che è – tutto quello che si presenta di volta in volta alla tua coscienza – senza rifiutare o privilegiare nulla. Vedrai fluire pensieri e sensazioni, giungeranno, permarranno solo pochi attimi, momenti che tuttavia potranno sembrare eternità, e scivoleranno via in silenzio. Meditazione è cogliere il proprio cielo interiore sgombro dalle nubi pensiero, limpido. Tu, noi, siamo quel cielo. Dopodiché cammina per un tempo almeno equivalente al periodo in cui sei rimasto seduto.
Non-mente
Discutere circa la mente laddove si argomenta sulla meditazione? Equivale a richiamare il concetto di non-mente.
Il silenzio metafisico o spirituale che si sottintende con la non-mente: esiste o è solo una semplice illusione? Colui che lo percepisce lo elabora, lo ripensa, prova a ritrasmetterlo. In effetti è ciò che stiamo tentando di fare. Sennonché in quest’ambito è possibile descriverlo solo metaforicamente o in forma poetica. Ma non sono tutte operazioni mentali?
Con questa faccenda della non-mente potrebbe sorgere un po’ di confusione. Non-mente significa semplicemente che il flusso dei pensieri ha rallentato sino a divenire apparentemente immobile. Ora, se la mente sono i pensieri è senz’altro giusto adoperare la locuzione non-mente. Ciò non toglie che la non-mente sia non più di un artifizio che, di per sé, non esiste. Coloro che meditano avvertono solo un relativo distacco prima, ed un crescente silenzio poi. Un’equidistanza dai pensieri, che è possibile viepiù padroneggiare, disporne senza farsi possedere. E questo, beninteso, avviene – soprattutto – spontaneamente.
Tuttavia potrebbero sorgere ancora degli equivoci. Ci sono stati degli insegnanti di meditazione che hanno citato la non-mente come se si trattasse di un’entità. Quindi, a costo di sembrare pedissequi, meglio precisare ulteriormente. Colui che osserva i pensieri, il testimone, non è affatto al di fuori o al di là della mente. In termini rigorosi, qualunque fenomeno si percepisca, luce, silenzio, amore, per lo stesso fatto di essere colto è, semplicemente, una questione mentale. Quell’impressione di netta distanza o di separazione dovuta allo stato di testimonianza è causata dalla pacificazione della mente.
In definitiva si tratta solo di adoperare termini più appropriati, la sostanza non cambia, ma si evitano malintesi: il bicchiere non è semivuoto, ma mezzo pieno; la mente non è vuota, non è sopraggiunta alcuna cosiddetta non-mente, ma si è pieni di luce, ricolmi di silenzio, amore, pace. Spero di essermi spiegato. Non ho inventato nulla, – “La nostra mente è Buddha” (Baso) – ma rielaborato una chiave di lettura più semplice.
Osserva il limpido cielo interiore privo delle nubi pensiero. Quella è l’origine da cui, se sai attendere, “chiunque chieda riceve”, donde scaturirà la “gioia” della verità. Noi non siamo la “verità”, ma più semplicemente interconnessi con la realtà. L’osservatore altera la realtà con cui entra in rapporto, creando così una barriera percettiva che rende inconoscibile la realtà medesima.
Ipse Dixit
“Quella che di solito chiamiamo mente è tenuta in altissima considerazione e se ne discute tanto.
Eppure, nonostante ciò non viene compresa, o viene fraintesa, o viene compresa in modo molto parziale o unilaterale.
Poiché non viene compresa correttamente per ciò che è, finiscono per prodursi le diverse idee e dottrine filosofiche, spesso in contrasto fra loro.
Inoltre, poiché gli individui ordinari non la capiscono, non possono riconoscere la propria Vera Natura e … sperimentano l’infelicità.
Perciò, tutti i problemi derivano dal non conoscere la propria mente”.
(Guru Padmasambhava, il Fondatore del Buddhismo tibetano)
Epilogo
Che differenza c’è tra Mens insita in omnibus (Mente insita e nascosta in tutte le cose), e Mens super omnia, ossia (Mente trascendente), che sta al di sopra di tutte le cose? Quesito legittimo, ma che esula dal presente argomento. Meglio rimandare a una prossima riflessione che tratterà, senz’altro pretenziosamente, del concetto di divinità.