Il Dalai Lama, leader spirituale del buddismo tibetano – nel condividere la sua saggezza – spiega come la meditazione possa aiutarci a sviluppare una preziosa risorsa interiore: la compassione. La compassione, secondo il Dalai Lama, è la capacità di sentire il dolore altrui e di volerlo alleviare. È una qualità che ci rende più umani e più felici. La meditazione ci insegna a coltivare la compassione attraverso l’attenzione, la consapevolezza e la gentilezza verso noi stessi e gli altri. Il Dalai Lama ci offre anche alcuni consigli pratici su come praticare la meditazione nel quotidiano, sottolineando i benefici che ne derivano per la nostra salute fisica e mentale. L’articolo è una fonte di ispirazione e di guida per chi vuole approfondire il tema della meditazione e della compassione dal punto di vista del buddismo tibetano.
«Molti danno per scontato che la compassione sia una pratica esclusivamente religiosa, ma non è così: se è vero che la compassione ha un ruolo centrale negli insegnamenti etici di tutte le principali fedi, di per sé stessa non è un valore meramente religioso.
C’è poi chi ritiene che provare compassione per il prossimo sia utile soltanto agli altri e non a se stessi. Anche questo è un errore. Che la nostra gentilezza sia davvero utile al prossimo dipende da un’infinità di fattori, alcuni dei quali sono fuori dal nostro controllo. In ogni caso, indipendentemente dal fatto che il nostro atteggiamento riesca o meno ad arrecare un reale vantaggio a chi ci circonda, i primi a trarne beneficio saremo proprio noi. Quando sorge in noi la compassione, quando manifestiamo buon cuore e smettiamo di concentrarci sui nostri interessi ristretti ed egoistici, è come se spalancassimo una porta interiore. La compassione mette a tacere le paure, alimenta la fiducia e ci fortifica. Allontanando la sfiducia, ci apre agli altri, ci dona un senso di connessione con loro e attribuisce così significato alla nostra vita. Inoltre, la compassione ci concede un po’ di sollievo dalle preoccupazioni e dalle difficoltà che si parano sul nostro cammino.
Esistono inoltre prove crescenti che l’amore, la gentilezza e la fiducia non solo hanno un evidente influsso benefico a livello psicologico, ma contribuiscono concretamente alla salute fisica. Un recente studio ha evidenziato come coltivare l’amore e la compassione possa influire persino sul DNA, mentre le emozioni negative, quali l’ansia, la rabbia e il risentimento, riducono la nostra resistenza alle infezioni e il potenziale di guarigione in caso di malattia.
Anni fa, a New York, partecipai a una conferenza in cui un medico ricercatore affermò che, secondo i suoi studi, le persone che facevano un uso sproporzionato del pronome di prima persona, basando quindi ogni loro discorso su “io”, “me” e “mio”, avevano maggiori possibilità di soffrire di attacchi di cuore rispetto a quelle che adottavano un linguaggio diverso. Servirsi di continuo dei pronomi di prima persona indica che si è costantemente concentrati su sé stessi; così facendo, si è più propensi a soffrire di stress e ansia, i tipici disturbi che accompagnano l’egocentrismo. E, come ben sappiamo, lo stress e l’ansia sono veleni per il cuore. Detto ciò, chi fa frequente riferimento a sé stesso per lo meno è onesto, il che a mio parere è preferibile all’essere egocentrici e fingersi compassionevoli! A mio modo di vedere, l’inestricabile rapporto fra stati mentali ed emotivi da un lato e benessere e salute dall’altro suggerisce che la costituzione stessa del nostro corpo ci conduce allo sviluppo di emozioni positive.
Ora, non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato nel perseguire i propri interessi personali. Al contrario, questo impulso è un’espressione naturale della nostra predisposizione fondamentale a cercare la felicità e fuggire la sofferenza. In realtà, è proprio perché ci prendiamo cura dei nostri bisogni che siamo ricettivi nei confronti della gentilezza e dell’amore altrui. L’istinto ad assecondare i propri interessi assume una connotazione negativa solo quando si trasforma in egocentrismo esasperato; a quel punto la nostra visione si fa ristretta e mina la capacità di inserire le cose in un contesto più ampio. Se la nostra prospettiva diventa limitata, anche i problemi più piccoli possono creare un’enorme frustrazione, tanto da sembrarci insostenibili. È una condizione in cui siamo estremamente vulnerabili, poiché se dovessero presentarsi difficoltà davvero gravi, rischieremmo di perdere la speranza, di sentirci soli e disperati e di lasciarci consumare dall’autocommiserazione. Occorre quindi sottolineare che, nel dedicarci al nostro benessere personale, dovremmo adottare una sorta di «egoismo saggio», anziché un «egoismo sciocco». E per egoismo sciocco intendo perseguire i propri scopi sulla base di una visione limitata e improvvida. Al contrario, un egoismo saggio si affida a una visione globale, secondo cui riconosciamo che i nostri interessi individuali a lungo termine dipendono in definitiva dal benessere di tutti.
In sostanza, l’egoismo saggio corrisponde alla compassione. La predisposizione umana a prendersi cura degli altri non è qualcosa di banale o che si debba dare per scontato; si tratta anzi di un aspetto del nostro essere che dovremmo tenere in gran conto. La compassione è una meraviglia della natura umana, una preziosa risorsa interiore, il fondamento del nostro benessere e dell’armonia delle nostre società. Chiunque persegua la propria felicità dovrebbe dunque praticare la compassione; chiunque cerchi la felicità degli altri, dovrebbe fare altrettanto!»
[ Sua Santità il XIV Dalai Lama. Da: La felicità al di là della religione: una nuova etica per il mondo ]
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– Dalai Lama – Wikipedia
– Frasi celebri del Dalai Lama