Thich Nhat Hanh (1926 – 2022) monaco buddhista, nonché maestro di gran competenza, merito e virtù, che promosse l’insegnamento del Buddha quale opportunità per diffondere la pace, condivide una preziosa metafora: quando la vita si fa difficile, ritornare all’ “isola del sé” interiore può essere la chiave per trovare conforto e serenità. Il Buddha, alla fine della sua vita, insegnò ai suoi discepoli questa pratica, indicando che dentro di noi c’è un rifugio sicuro contro le tempeste emotive. L’autore, con un aneddoto personale, illustra come, analogamente a ritornare al proprio eremo, possiamo affrontare i momenti difficili della vita. Invita a chiudere porte e finestre, a riconoscere le emozioni, abbracciarle con tenerezza e generare l'”energia della presenza mentale” per trasformare il freddo della sofferenza in calore interiore. Un invito a prendersi cura di sé con amore, seguendo la saggezza del maestro buddhista.
«Quando il Buddha aveva ottant’anni e sapeva che non sarebbe vissuto più a lungo, offrì ai suoi studenti la pratica “dell’isola del sé”. Disse che in noi stessi c’è un’isola sicura alla quale si può tornare ogni volta che ci si sente spaventati, instabili o disperati. Torna a casa all’”isola del sé” che hai dentro, prendi rifugio in quell’isola e sarai al sicuro. L’isola del sé dista solo un respiro. Con la pratica della consapevolezza del respiro o del passo possiamo tornare immediatamente a casa nella nostra isola.
Prima di trasferirmi a Plum Village abitavo in un eremo a circa un’ora di macchina da Parigi. Un giorno lasciai l’eremo per andare a fare una passeggiata. Era una mattinata bellissima così prima di uscire aprii tutte le finestre e le porte, ma verso le quattro del pomeriggio il tempo cambiò: si alzò il vento, le nuvole coprirono il sole e si mise a piovere. Sapevo che sarebbe stato meglio andare a casa e così tornai all’eremo camminando in presenza mentale. Una volta arrivato trovai il mio piccolo eremo in pessimo stato: dentro faceva buio e freddo, era deprimente; non era più un luogo piacevole in cui stare. Ma sapevo che cosa dovevo fare. La prima cosa fu chiudere tutte le porte e le finestre; la seconda fu accendere il fuoco nella stufa a legna. Dopo accesi una lampada a kerosene e poi andai a raccogliere tutti i fogli di carta che il vento aveva sparpagliato per tutto l’eremo. Dopo aver raccolto e rimesso tutto al suo posto, mi sedetti vicino al camino e mi scaldai al fuoco. A quel punto l’eremo era di nuovo tornato un luogo intimo e piacevole in cui stare. Lì ero al sicuro e a mio agio.
Questa immagine può illustrare che cosa fare quando ci sentiamo depressi o turbati nella vita quotidiana. Ci sforziamo molto ma più ci sforziamo, peggio ci sentiamo. Diciamo: “Non è proprio la mia giornata”. Ci sembra di fallire in ogni cosa che tentiamo di fare; cerchiamo di dire o fare qualcosa per migliorare la situazione ma non funziona. Quello è il momento per tornare al nostro eremo e chiudere tutte le porte e le finestre. Torna “a casa” a te stesso tramite il respiro consapevole e riconosci le sensazioni che hai dentro. Forse in te ci sono sensazioni di rabbia, di paura, di ansia o disperazione; qualunque sensazione ci sia, riconoscila e abbracciala con grande tenerezza.
Quando una madre sente piangere il suo bambino smette di fare quel che sta facendo, qualunque cosa sia, e va subito dal bambino. Per prima cosa lo solleva e lo tiene teneramente fra le braccia. Nel bambino c’è l’energia della sofferenza e nella madre c’è l’energia della tenerezza, che comincia a passare nel corpo del bambino. Analogamente, la paura che provi è il tuo bambino. La rabbia che provi è il tuo bambino; la disperazione che provi è il tuo bambino. Il tuo bambino ha bisogno che tu vada a casa e te ne prendi cura. Va’ subito a casa, nel tuo eremo, nell’isola del sé, e prenditi cura del tuo bambino.
L’energia della presenza mentale è la madre; con quell’energia puoi tenere fra le braccia il tuo bambino. La presenza mentale è un’energia che sei in grado di generare: è la capacità di essere consapevoli di ciò che succede; è il calore che puoi produrre facendo un fuoco. Il fuoco e il calore trasformeranno il freddo e lo squallore del tuo eremo. Quel bambino sei tu; non dovresti cercare di sopprimere le emozioni forti o le sensazioni negative che provi. Tu sei la tua paura, la tua rabbia: non combatterle. Non lottare contro la tua rabbia, la tua paura, la tua disperazione; con la presenza mentale puoi abbracciare quei sentimenti. Se continui a respirare in consapevolezza potrai generare l’energia della presenza mentale che abbraccerà e calmerà i sentimenti difficili come una madre abbraccia teneramente il suo bambino che piange e lo calma.»
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– Thich Nhat Hanh su wikipedia
– EsserePace.org – Thich Nhat Hanh