Che s’intende per vita “oltre la vita”? Dal quesito di un cortese visitatore che s’interroga sul mistero del culmine esistenziale, alcune considerazioni sulla scia di una flebile traccia. Nient’altro che piccoli ulteriori passi verso l’evidenza …
L’attimo fuggente
Contemplare l’evanescenza della vita equivale a riflettere sulla propria caducità. La consapevolezza di siffatta precarietà ne disvela la natura più intima. Un’osservazione puntuale condotta senza tentennamenti constata, innanzitutto, la sofferenza, le cui cause basilari sono indubbiamente le smanie egoistiche, gli appigli, le identificazioni.
L’ego che di volta in volta si sente tediato, maltrattato, incalzato, ferito, talora persino vessato, cincischia, simula indifferenza, sobrietà. Si trasforma, suo malgrado, in un dispositivo insincero e convenzionalista che per non cadere nell’oblio e non essere dimenticato è disposto a qualunque sacrificio. Spesso e volentieri è stimolato da pulsioni egemoniche, tenta di predominare.
Ma la “conoscenza”, che non è necessariamente “sapere”, bensì “comprensione”, è la chiave di volta per capire le cause della sofferenza, ossia le distorsioni – spirituali – dell’ego. Siffatta conoscenza, preludio di buonsenso e discernimento, sopraggiunge unicamente nel proprio presente. Il suo solo albeggiare dipana l’intrico d’ogni matassa, trasforma l’incubo del tramonto nel suo imprescindibile complemento, la saggezza di una nuova aurora.
L’attimo fuggente ci coglie sempre impreparati. Sicché riceverlo dignitosamente diventa un compito quasi impossibile. Ma cos’è l’attimo fuggente, un istante specifico, o la nostalgia d’una rimembranza? Quando ce ne avvediamo, oppure tentiamo di carpirlo, è già trascorso.
Renovatio
Nome del mittente: Andrea
Oggetto: rinnovamento
Quesito
Ciao, ogni tanto rileggo i tuoi articoli per ravvivare le mie idee sul mondo della meditazione, perché nelle tue parole ritrovo l’essenza e la semplicità dei metodi che inevitabilmente, col passare del tempo, tendo a elaborare e complicare inutilmente.
Oggi, però, ho trovato quei brani riguardanti la morte. La scomparsa di persone care è un fatto talmente sconvolgente che non riesco ancora a trovare la prospettiva mentale giusta per mantenere un certo distacco. Ok, non si muore e non si nasce, ma in fondo in fondo, che uno di noi sia ateo, cristiano, o buddista, quell’essere umano non lo si rivedrà più; i suoi discorsi, la sua voce, la sua gioia – almeno apparente – o il sorriso, rimarranno per sempre nel passato, mentre “qui e ora” mancheranno, e molto. Come ci si può separare da tutto ciò?
Se ho ben compreso l’ottica buddista, fino a quando una persona non raggiunge il nirvana, avvinto dai desideri, rimane coinvolto nel ciclo di successive e consequenziali rinascite. Bene, ciò significa che anche noi rivivremo inconsciamente nel corpo di un’altra persona – come, ad esempio, nel caso dei Lama tibetani – o questa situazione è riservata solo ai maestri che hanno il compito di guidare ancora verso la Verità?
E nel caso il defunto si sia suicidato? Trattandosi di un desiderio sicuramente negativo, come si ripercuote dopo il trapasso?
Per ultima una domanda un po’ sciocca, ma ispirata da un commento provocatorio di un conoscente: se l’intento buddista di condurre l’umanità all’illuminazione infrangendo il ciclo del Samsara dovesse concretizzarsi, alla fine non ci sarebbero più rinascite! Troppa logica? Una risposta alla Sant’Agostino mi avrebbe fatto sicuramente comodo! 🙂
Grazie ancora per le tue opinioni. Cari saluti, Andrea.
Risposta
Ciao Andrea, leggendo le tue considerazioni mi sono sentito sinceramente rinfrancato. Anch’io mi sono posto gli stessi quesiti tentando di darmi risposte che, di volta in volta, mi sembrassero vagamente soddisfacenti, o coerenti, magari credibili, poi con una parvenza di razionalità, per ritornare infine alla stessa domanda da cui ero partito.
Secondo un luogo comune oramai piuttosto diffuso, quando non si riesce a trarsi d’impaccio si afferma che la risposta è implicita alla domanda. Come ci si può distaccare dalle sofferenze psicologiche nel qui e ora? Qui e ora, la dimensione dell’eterno presente, non è un semplice concetto intellettuale, ma una sorta di realizzazione spirituale che si consegue o riscopre, secondo le proprie propensioni, con la preghiera come con la meditazione. Naturalmente non penso che queste pratiche debbano essere necessariamente formali. Ho conosciuto, ad esempio, individui che si dedicavano così gioiosamente ai loro impegni d’aver trasformato un quasi banale lavoro in un’esclusiva e peculiare meditazione.
Hic et Nunc, Qui e Ora, è forse l’attimo fuggente? L’intuizione fugace d’una possibile o ricorrente opportunità esistenziale? No, è uno stato d’animo riconoscibile da calma, ma non quiescenza – silenzio che scaturisce da un’interiorità tranquilla come dal frenetico mondo circostante – le cui prime avvisaglie si ravvisano, per lo più, in una disposizione genericamente concentrata e al contempo disponibile e aperta. Un’inclinazione pronta ad espandersi gradualmente in tutte le dimensioni della vita ordinaria. Non si tratta, quindi, di un distacco, ma di rinnovata fiducia, in se stessi, nella vita, o se lo credi in Dio.
Qui e ora condividerai senz’altro i dispiaceri e le gioie comuni a tutte le persone, ma li vivrai come colui che osservando un paesaggio dalla finestra della propria stanza non ne dimentica la cornice, il riquadro che circoscrive il telaio dell’infisso, al di là del quale il mondo reale rimane sempre identico a se stesso. Comprenderai come in effetti siano principalmente le nostre proiezioni a renderlo, di volta in volta, più o meno spiacevole, accettabile, plausibile, fantastico …
Rielaboriamo il tuo quesito concernente la sofferenza causata dal distacco. La domanda, potrebbe esser formulata altrimenti: come si fa a vivere un rapporto evoluto? Come funziona una più alta forma d’innamoramento? Dov’è il confine tra coinvolgimento e distacco? E’ veramente possibile amare una persona senza sentirne il desiderio? Con un distacco tale da essere disposto potenzialmente a perderla in ogni momento?
Accenno una risposta. E’ come respirare. Tu non puoi inspirare in eterno. Prima o poi dovrai espirare e reiterare il processo. Quindi ci si avvicina, ci si ama e poi allontana. Talvolta per poche ore, talaltra per anni o persino vite.
In un certo senso mi piacerebbe tranquillizzarti. L’impermanenza che hai testé menzionato non implica necessariamente l’inesistenza di un eventuale stato animico. Solo che anch’esso sarebbe comunque un aggregato contingente e limitato. Forse, posticipare, concedersi un’ulteriore dilazione prima di comprendere, o accettare … che non v’è nulla da comprendere se non la propria riluttanza a cavalcare l’onda della conoscenza. A lasciarsi trasportare sino a capire che quell’onda siamo noi. Ma che la cresta spumeggiante sarà comunque riassorbita in ciò ch’è sempre stata, ma aveva, piuttosto ingenuamente, forse dimenticato.
La vita è rigenerazione continua, sempre e solo rinnovamento. Chi si ferma è perduto. Abbandonare il gioco deliberatamente equivale ad allontanarsene senza averne ricevuto alcun beneficio. Chi non riesce a condurre gioiosamente quest’incantevole quotidianità, chi sentendosi piegato o sottomesso diviene rinunciatario prim’ancora di esplorare appieno le potenzialità che la natura o Dio gli hanno offerto, è già sconfitto. Come potrà sperare di risolvere la propria insoddisfazione in futuro se non è stato capace di adattarsi, innanzitutto, a questa stessa semplice e favorevole esistenza? Certo, i pericoli di essere fuorviati da falsi miti o ingannevoli credenze ideologiche persistono sempre. Ma chi non realizza il chiarore dell’incommensurabile ora si addormenterà senza nemmeno riuscire ad accorgersi che oltre la vita c’è solo e ancora vita!
Grazie per la visita ed il messaggio.
Corsi
Per conseguire o raggiungere quella che viene definita sospensione della mente si segue un determinato processo. In pratica le otto fasi dello Yoga che hanno una certa affinità con l’ottuplice cammino buddhista.
Il risultato concreto è un conseguimento graduale, la progressiva consapevolezza della propria natura essenziale. Da questa consapevolezza deriva, attenzione perché questa è la domanda che in molti si pongono, un distacco via via più accentuato dalle problematiche esistenziali, le quali, però, non vengono negate o relegate. Accade, semplicemente, di non sentirsi più identificati o emotivamente coinvolti come prima.
Si studia, si lavora, si pagano le tasse, ma la distanza tra noi e siffatti avvenimenti diventa elastica. Si perviene, cioè, ad un nuovo imprevisto equilibrio. Quindi ci si rallegra del poco quanto del molto e tutta la vita diventa una magnifica poesia senza parole, una silente musica priva di note.
Ricorsi
Ci troviamo al cospetto di un disegno che non riusciamo a comprendere. Tuttavia non è il caso di parlare di misteri inintelligibili, ma solo di circostanze che ancora, sia per ignoranza scientifica che inconsapevolezza, non riusciamo a comprendere.
Si potrebbe, pure, osservare che le presunte leggi universali scoperte dagli umani non sono altro che la nostra interpretazione di ciò che è, condizionata dalle facoltà percettive e interpretative di cui disponiamo. Invece, generalizzare equivale a mistificare. Mentre propagandare verità relative e spacciarle come assolute è mentire. Tranne il caso, ovviamente, di poeti, mistici o affini.
Epilogo
Il suggerimento meditativo che sottende alle riflessioni testé formulate è il seguente: quando gli impegni te lo consentono fermati un po’, dimora nel non-sapere … l’esistenza si prenderà comunque cura di te. Forse non lo sta già facendo? Ciò ti avvicinerà a intuire l’adesso, l’istante senza tempo, che di per sé non può essere afferrato volontariamente, ma predisporsi a viverlo. Non precludiamo ogni porta. Lasciamo aperte, per lo meno, quelle interiori, o dall’alto …
Grazie a tutti per la cortese attenzione.