Non trasformare mai la meditazione in un rito. L’approccio ritualistico, cerimoniale, può essere evocativo, celebrativo, relativamente consolatorio, ma non spirituale. La reiterazione di gesti e parole è, quasi sempre, un protocollo ipnotico. Un conto è ricercare o dare enfasi all’ordine, alla purezza, alla bellezza, quindi all’armonia, ben altro condizionare intimamente la buona fede di chi si presta con innocenza a quel genere di parodie.
Un conto è auspicare la diffusione di modesti templi dedicati al benessere interiore, alla contemplazione e alla meditazione, ben altro trasformarli in luoghi d’effimero culto. Ma culto di cosa, forse degli infimi scopi particolaristici di chi li gestisce in nome di una fede, di una tradizione, se non dell’interesse comune? Già, l’interesse delle innumerevoli schiere di cittadini del bel pianeta annientati a causa di becere quanto disgustose credenze.
Ovviamente – per inciso – esistono anche delle meritevoli eccezioni. Mi riferisco – in particolare – a quel genere di associazioni che hanno come scopo la lotta contro l’ignoranza sotto tutte le forme, lungo un cammino che si snoda dalle tenebre della propria relativa incoscienza alla luce della consapevolezza.
Che il nostro rito sia, dunque, soprattutto quello di recarci, di tanto in tanto, nel tempio interiore – è un eufemismo che richiama l’esigenza di divenire consapevoli dell’essenza – per attingervi la pace e la tranquillità di spirito implicita ed effonderla, spontaneamente, ovunque accadrà di trovarsi. …