Lo stato che chiamiamo realizzazione è semplicemente essere se stessi. Colui che si è realizzato non può descriverlo. Può solo esserlo. (Saggezza vedica – Ramana Maharshi)
Parole sagge, ma che possono essere facilmente fraintese. Chi legge senza conoscer nulla di spiritualità o di meditazione interpreta, ovviamente, secondo la propria esperienza pregressa. E’ indotto, quindi, a credere che sia sufficiente un comportamento spontaneo per realizzare l’individualità più intima, i suoi limiti, nonché ciò che travalica la personalità provvisoria per espandersi sino a comprendere la moltitudine, abbracciare l’Uno.
Essere se stessi non è, invece, una scelta, ma la realizzazione cui si perviene quando il cielo della propria coscienza si rasserena, quando il vento della meditazione – o la ricerca spirituale introspettiva, o la contemplazione, o il sacrificio inteso come abnegazione e rinuncia alle innumerevoli identificazioni dell’ego, o la compassione – spazza via le nubi pensiero indisciplinate e caotiche che offuscano la conoscenza empirica di chi siamo realmente, pura e semplice consapevolezza.
Cos’è che t’interessa davvero? Essere te stesso, sentirti centrato, ma nel contempo buono, amorevole e più compassionevole. Avere più energia, ma insieme mantenere il giusto distacco. E’ probabile che tu stia cercando il benessere, quello implicito, inerente, naturale. Sono certo che temi la sofferenza, fai di tutto per evitarla, per lenirla e – nel caso – per superarla. Ebbene un buon metodo è l’ottuplice sentiero del Buddha Gautama Siddharta che presuppone, comunque, la meditazione.
Mentre il Buddha rappresenta l’istruttore, il maestro, il risvegliato, … è soprattutto la sintonia con l’intelligenza suprema dell’universo – che taluni chiamano super-coscienza, consapevolezza, Dio o Brahma – ad offrirti l’opportunità di praticare e incamminarti sulla via che conduce realmente a te stesso.