Dio è la coscienza che pervade l’intero universo dei viventi e dei non-viventi. (Ramakrishna)
Frammenti di silenzio
Rispondo un po’ a quelli che mi hanno raccontato qualche loro breve e fugace episodio (correlato al raccoglimento introspettivo, ossia alla contemplazione). La maggioranza ha sperimentato dei frammenti di silenzio. Attimi di quiete, pace con se stessi, che sono diventati poi amorevolezza e compassione. In genere questo non è accaduto durante i cosiddetti esercizi propedeutici per favorire la meditazione, ma nei momenti più impensati. Non si tratta di un rapporto meccanico tra ciò che fai e quello che sperimenti, ma di come ti rapporti alla vita e quello che ne percepisci.
Un amico mi ha scritto:
… Il maestro divino e’ realmente sempre accanto a noi. Puo’ essere Gesu’, un Buddha o una semplice sfera di Luce … ma c’e’. Egli emana una energia a cui noi non siamo ricettivi se non dimoriamo in uno stato di profondo silenzio interiore, che non e’ solo silenzio della mente discorsiva … ma soprattutto del cuore, dell’anima.
Tento di rispondergli:
Beh, c’è la vita, tutto ciò che ti circonda e che puoi intravedere con gli occhi della consapevolezza. Questa vita è già, di per sé, il maestro, l’essenza divina. E’ sufficiente che muti la prospettiva. Accade sempre in modo spontaneo. Tu sai benissimo che le cosiddette tecniche non servono a nulla se non a mollare la presa dei filtri mentali in modo da riuscire a percepire ciò che è. Sembrano frasi fatte, quindi bisognerebbe sperimentare. Non si tratta di richiamare alcunché, nessuna discesa, avvento, disposizione ricettiva o di apertura, fede o credenza, che sono tutte circostanze emotive, ma riuscire a vedere questa stessa esistenza per com’è realmente, con occhi innocenti e non pervasi da una moltitudine accecante di aspettative e credenze.
Il fatto che non possiamo richiamare o provocare codesta visione a nostro piacimento non significa che la cosiddetta divinità, di cui siamo parte integrante e attiva, abbia una volontà autonoma. L’asserzione di alcuni maestri, come ad esempio Aurobindo, che sostengono sia necessario abbandonarsi alla Sua volontà, implica – a mio avviso – che bisognerebbe riconoscere, innanzitutto, l’origine di questa volontà. Donde proviene? Non è in un luogo lontano e metafisico. E non è nemmeno nascosta nei risvolti del proprio discernimento, ma è la coscienza stessa. La volontà di Dio, o come dici tu, del maestro divino, luminosa e gratificante sfera di luce, è, già di per sé, l’apice della coscienza. Ovviamente non si tratta del ristretto e limitato discernimento personale, ma di coscienza ominicomprensiva e omnipervadente, collettiva. Uno stato di profondo silenzio interiore ne favorisce, sicuramente, la percezione.
Maestri come Jiddu krishnamurti e Osho hanno tentato di spiegare gli inganni perpetrati dalle varie tradizioni metafisiche, sia orientali che occidentali. Ed è normale che si tenti in ogni modo di neutralizzare il loro lavoro. Tuttavia la loro opera, che non è stata semplificazione, ma soprattutto demistificazione, è già divenuta, che si voglia o no, patrimonio pubblico, espandendo il livello di comprensione di molti più individui di quanto apparentemente non sembri.
Spiragli di luce
Per indicare qualcosa che non conosci ti devi servire per forza del noto. Se qualcuno dice, sai ho intravisto un spiraglio di luce senza sorgente, oppure, ho percepito per qualche attimo un amore incondizionato per tutti gli esseri viventi e ne ho compreso la loro fondamentale interdipendenza, quindi mi sono sentito “uno” con i tanti, sono tutte affermazioni simboliche tese a rappresentare una realtà soggettiva essenziale che, se preferisci, puoi anche chiamare Dio.
Dio, o vita o esistenza o coscienza, come prediligiamo chiamarla – penso comunque che abbia qualità prevalentemente femminili – sussurra sempre. La sua voce non è affatto flebile, ma noi, a causa del frastuono esteriore, non riusciamo a percepirla: gli affaccendamenti quotidiani, l’indispensabile lotta per sopravvivere e quant’altro; oramai anche un ufficio può trasformarsi in una specie di giungla.
Predisporsi in silenzio per cercare di scorgere la propria natura essenziale o di ascoltare quella voce sommessa quanto persistente è meditazione. E cos’è questa voce? Se sei presso un fiume che attraversa un territorio impervio quel suono è la voce delle rapide, il ruggito della cascata; se ti ritrovi sulla spiaggia del mare quella splendida voce è il tramestio della risacca; se visiti un parco quella voce diventa il fruscio del vento, lo stormir delle foglie …; infine, ma solo per ora, se tutto tace allora quella voce è il silenzio dell’incommensurabile, che non è mistero, ma quel semplice quid chiamato divinità. Lo percepisci non appena smetti di proiettare te stesso …
Essenza divina
Caro amico, non riesco a disquisire oltre perché non c’è nulla da dimostrare. Giochi di parole, teorie e concetti sono la stessa cosa, tant’è che mente ed ego sono sinonimi. Così come dubito esista il super-mentale se non nella nostra fervida immaginazione, parimenti non v’è nulla che possa esser percepito al di là, cioè al di fuori della mente. Si possono tacitare i pensieri, il che non significa agire senza pensare, ovvero sopprimere i concetti, ma sentire il proprio essere interiore come separato.
Tu dici che “Il Divino e’ qualcosa di infinitamente piu’ grande e Vivo che la piccola e ristretta mente dove tu credi di lasciar cadere nel vuoto i piccoli pensieri e osservare attraverso la pura presenza …”. Io penso che se noi non potessimo usufruire dello strumento mente non riusciremmo nemmeno a percepire il divino. Sono convinto, altresì, che non esiste nessuna divinità separata.
Quante volte ci siamo chiesti se Dio, l’essenza divina, fosse personale o impersonale? E’ la vita stessa che ci parla. Quando riusciamo a percepirne l’implicita voce non possiamo che considerarla come l’espressione di un’entità trascendente. E ad essa, parimenti, ci rivolgeremo in modo consono: l’universo ascolta, risponde, anche se sembra indifferente reagisce sempre in modo adeguato. D’altro canto non ne siamo distaccati, ma in simbiosi. Talvolta questa sua capacità di reagire ci sconcerta.
Se il suo sommesso gemito di sofferenza o lo stentoreo trillo di gioia ritarda, o tace, vien detta sacralità immanente. I due aspetti, trascendenza e immanenza coesistono. Il prevalere dell’uno o dell’altro dipende dal medium percettivo, ovvero da colui che ascolta, vede e interpreta. Che piaccia o meno, nomi simili per concetti pressoché identici.
Epilogo
La vita è tutta sacra, divina. Ciò che apparentemente la differenzia sono solo i tanti livelli di consapevolezza manifesti. Tra l’umile pietra e gli esseri animati c’è solo un differente grado di coscienza e auto-conoscenza. La vita danza comunque. Se riuscissimo a risvegliarci quanto basta da aprire gli occhi sul serio per ammirarne l’eterno gioco comprenderemmo come non esiste nessuna sfida, ma solo balocchi, trastulli, gingilli con cui amiamo distrarci in una sorta di svago fantastico che crea e ricrea da sé medesimo le regole del suo stesso passatempo infinito.