Meglio un giorno solo vissuto con energia e costanza piuttosto che cent’anni vissuti nell’apatia e nella fiacca. (Dhammapada, 112)
Quando iniziai a rispondere a questo semplice, ma significativo messaggio pensavo di cavarmela con poche battute formulate ad hoc. Tuttavia, nel procedere, mi rendevo conto che una volta per tutte dovevo prendere il coraggio a due mani ed affrontare – si fa per dire – taluni risvolti della pratica meditativa su cui, in genere, avevo preferito sorvolare. Ci sono dei punti fermi che non si possono ignorare, delle situazioni che è impossibile trascurare. La spiritualità non è come il finto giochino di un corso yoga-qualcosa. La spiritualità è la melodia del silenzio. Quanto più cerchi di spiegarla, tanto più t’allontani. La meditazione accade sempre durante una pausa …
Nome del mittente: NiX
Soggetto: farcela con poche energie intorno…
Quesito
Salve salius, parlo per voce di due ragazzi che studiano a Forlì. Abbiamo sentito il bisogno di scriverle visto che improvvisamente, grazie all’aiuto di una buona attività fisica, siamo entrati in un mondo completamente diverso da quello che conoscevamo. Abbiamo iniziato a vedere di più, a muoverci meglio e questo ci ha dato la possibilità di capire tutto ciò che avevamo sempre avuto sotto gli occhi, ma di cui invece non avevamo notato nulla. Anche le nostre esperienze passate hanno acquisito più senso e la conoscenza che avevamo è divenuta istintiva.
Tutto ciò ci ha sanati e salvati, quindi ci ha anche riempito il corpo di gioia, ma nello stesso tempo ci ha escluso da convinzioni e certezze che un tempo ci guidavano nell’esistenza. Piano piano, con il passare dei giorni riusciamo sempre meglio a sopperire a quanto ci è venuto a mancare, anche se non è facile rendersi conto che il resto rimane in un limbo oramai incomprensibile al nostro occhio.
In ciò che lei sostiene abbiamo trovato un ottimo punto di vista per reinterpretare le nostre nuove scoperte, così abbiamo deciso di scriverle per cercare di capire ancora meglio. Ma soprattutto per sapere se questa voglia (innata ora) di fuggire via, correre lontano verso l’orizzonte senza girarsi mai e tornare a fondersi con la natura, risulti anomala o preoccupante all’occhio di un meditatore più esperto.
Grazie anticipatamente dell’aiuto.
Risposta
Ciao Nix, rispondo come se mi rivolgessi a un interlocutore soltanto. La spiritualità – come hai già ben compreso da quanto posso evincere dalla tua stimolante esposizione – ha diverse sfaccettature.
Semplificando, in primo luogo c’è un approccio di base, da cui è auspicabile partire. Ed è quello della fisicità. Sia che si pratichi lo Hata Yoga, o che si preferisca nuotare, o ci si esprima traducendo le proprie istanze più intime secondo i canoni di una qualche forma artistica, ciò che conta è agire sempre consapevolmente. Con cura, attenzione, dedizione, ma senza farne una fissazione. Funziona così: ci si propone di procedere dando il meglio, poi si dimenticano le speculazioni teoriche per impegnarsi totalmente nell’attività prescelta. Questa, in realtà, è una forma di meditazione codificata persino dalla tradizione. In qualche articolo l’ho chiamata, con una metafora, correre verso la vita. Il che significa impegnarsi con gioia, entusiasmarsi, credere nelle proprie attività e iniziative, gioire per il fatto stesso di muoversi, lavorare, studiare, adoperarsi per tentare di realizzare i propri sogni indipendentemente dalle inevitabili svolte che la vita imprimerà alla loro successiva attuazione.
In virtù di una mappa esclusivamente orientativa – in secondo luogo – c’è un approccio emotivo che implica il rispetto delle tradizioni pregresse le quali possono, beninteso esser superate, ma solo nel contesto di una maturazione spontanea, e non di una scelta aprioristica.
Fin qui le dinamiche sensoriali. Poi c’è il silenzio, la quiete di colui che si ritira temporaneamente dal tran tran per ritemprarsi e ripartire con soddisfazioni ancora maggiori verso … Dove? Dov’è che dovremmo andare oggigiorno, se non verso l’ideale di uno sviluppo, sociale ed economico, compatibile con la natura, sostenibile! Ed ecco la spiritualità. Una corsa all’incontrario, verso se stessi, ma che può esser effettuata solo andando avanti nel tentativo di afferrare la propria ombra. Fintantoché non ci si renderà conto che quella proiezione non esiste e siamo sempre noi stessi che edifichiamo, distruggiamo, ricostruiamo secondo una successione che gli antichi saggi chiamavano “il gioco della vita”.
Talvolta può accadere che l’energia suscitata dalla meditazione stimoli l’esuberanza, il desiderio di fuggire – ti prendo alla lettera, di fondersi con la natura. Ovviamente questa sensazione è un po’ esagerata. I rimedi abituali consistono: nel perseguire l’equilibrio; nel diventare coscienti del fatto che siamo sostanzialmente interdipendenti; nel coltivare benevolenza, compassione, sollecitudine e reciprocità verso la globalità degli esseri. Ma tutto ciò non basta se non ci si orienta, parimenti, verso l’apice della coscienza, verso quel che taluni chiamano Dio e da tal altri viene inteso come elevarsi verso l’intrinseco, la natura-di-buddha. Ovverosia ricercare una sorta di purezza della mente, che nel processo meditativo diviene viepiù chiara, limpida, scevra da contenuti meramente ideologici o dottrinali e, quindi, relativamente libera dai condizionamenti più appariscenti.
Sarà mai sufficiente? Non credo! Senza un po’ d’amore, senza la sensibilità di colui o colei che coglie un fiore e lo dona senza motivo alla prima persona che incontra (speriamo l’apprezzi); senza la sensibilità di colui o colei che non coglie alcun fiore, giacché è consapevole che la pianta stessa ne soffrirebbe (non è forse sufficiente ammirarlo?); senza la sensibilità di colui o colei che dona un sorriso per il solo fatto di sentirsi felice incrociando uno sconosciuto (auspichiamoci che non lo travisi); non si va da nessuna parte, non si corre e non ci si fonde. L’energia che consegui con la meditazione può trasformarsi in una benedizione, ma dipende da come l’adoperi. Se la trattieni e quindi diventa stagnante, allora eccita e ti allontana dal tuo nucleo più intimo sensibilizzandoti eccessivamente. Se la dissipi inutilmente – perseguendo, ad esempio, l’edonismo ad oltranza – corri il rischio di ritrovarti sempre al punto di partenza, nonché riscoprirti di continuo eterno principiante. Oppure se ne fai buon uso, cioè la condividi e l’esprimi in modo costruttivo, svilupperà la tua creatività.
Nix, la natura siamo noi. Quel che cerchi ce l’hai già. L’impulso che provi di fonderti con la natura corrisponde, probabilmente, alla passione che suscita la gioia di una nuova scoperta. Dovunque tu vada, qualunque percorso tu segua, girerai sempre in tondo. La fine della corsa corrisponde alla riscoperta del cielo interiore. Le nubi pensiero che inesorabilmente l’oscuravano si diradano e ciascuno sperimenta delle pause ristoratrici durante cui le onde dell’immaginazione involontaria si distanziano sino a rivelare l’oceano dello spirito per antonomasia, il parco giochi della quotidianità. Mentre persino la routine si colora delle tinte più seducenti, la bellezza del presente e, di converso, anche quella del futuro, diventa pressoché inesprimibile.