Argomentare sulla tranquillità mentre il mondo è in perenne subbuglio sembra quasi pleonastico, un mero esercizio di pura retorica, un compendio di pii desideri, un’edulcorata via di fuga. Tuttavia, in realtà, la ricerca di ordine, silenzio, calma, serenità, distacco non è affatto un modo per sfuggire alle proprie eventuali responsabilità e, quindi, ritirarsi in un limbo di beata ignoranza. Si tratta piuttosto di un modo concreto ed efficace per ricaricarsi, per rigenerare le proprie migliori e più consone energie… La tranquillità interiore non è un beato rifugio, ma forza, efficienza e vitalità allo stato più puro.
«La tranquillità è uno dei sette fattori dell’illuminazione o sette fattori del risveglio. Nel nostro mondo affaccendato, tendiamo in genere a trascurare la capacità, che pure possediamo, di far calmare e riposare la mente, e di immergerci in uno stato di silenzio e pace profondi. Questa immobilità rappresenta, nell’ambito della meditazione, una forza considerevole, attraverso la quale possiamo imparare ad ascoltare più intensamente il mondo che ci circonda e la sapienza del nostro stesso cuore. Per sostenere questa condizione di tranquillità nella pratica meditativa, è necessario favorire l’immobilità del corpo, la calma del respiro, e un senso interiore di agio e di riposo; ci si può dedicare, allora, tanto all’esercizio fisico, quanto alla respirazione, alle sedute di meditazione, e al rilassamento. La tranquillità viene anche favorita dai periodi di tempo che trascorriamo in solitudine o nell’ambiente naturale. Non è per un caso, del resto, che il Buddha scelse di vivere nelle selve, piuttosto che nelle città di Benares o di Rajagaha. Ritiri periodici e altre forme di quiete esteriore possono, dunque, alimentare considerevolmente la nostra tranquillità interiore.
In ambito mentale, il modo più diretto per raggiungere la quiete è imparare a lasciar andare preferenze e avversioni, cosa che vuol dire smettere di vivere tanto legati ai nostri desideri, ai progetti e ai rimpianti. La vita, altrimenti, può diventare talmente complessa e piena di preferenze e progetti che noi finiamo col perdere la vera esperienza della realtà delle cose. Possiamo, ad esempio, compiere un’escursione su uno splendido sentiero di montagna e passare tre quarti del tempo a pensare alle cose che ci aspettano al ritorno. Siamo attaccati ai nostri giudizi, alle idee e ai progetti, come se sapessimo davvero quello che dovrà accadere: invece non lo sapremo mai, anche se siamo in grado di fare valide supposizioni. Non sapremo mai, ad esempio, chi morirà o chi nascerà nel giorno presente; non sapremo mai se saremo travolti da un’automobile o se vinceremo la lotteria. Un grande senso di tranquillità si manifesta, dunque, quando ci liberiamo del futile desiderio di controllare ogni cosa e ci dedichiamo, invece, a ogni istante che passa con apertura interiore e consapevolezza. È come l’ombra fresca di un albero per una persona fino ad allora tormentata dal calore del sole. Non si vuol dire, in ogni caso, che è sbagliato avere progetti e idee; progetti e idee, in sé e per sé, vanno bene: è l’attaccamento a essi, o il fare eccessivo assegnamento su di essi, che provoca il guaio.
In una sua poesia, Pablo Neruda descrive proprio lo spirito di questa specifica qualità:
Ora conteremo fino a dodici
e tutti resteremo fermi.
Una volta tanto sulla faccia della
terra,
non parliamo in nessuna lingua;
fermiamoci un istante,
e non gesticoliamo tanto.
Che strano momento sarebbe
senza trambusto, senza motori;
tutti ci troveremmo assieme
in una improvvisa stravaganza.
Nel mare freddo il pescatore
non attenterebbe alle balene
e l’uomo che raccoglie il sale
non guarderebbe le sue mani offese.
Coloro che preparano nuove guerre,
guerre coi gas, guerre col fuoco,
vittorie senza sopravvissuti,
indosserebbero vesti pulite
per camminare coi loro fratelli
nell’ombra, senza far nulla.
Ciò che desidero non va confuso
con una totale inattività.
È della vita che si tratta; …
Se non fossimo cosi votati
a tenere la nostra vita in moto
e per una volta tanto non facessimo nulla,
forse un immenso silenzio interromperebbe la tristezza
di non riuscire mai a capirci
e di minacciarci con la
morte.
Forse la terra ci può insegnare,
come quando tutto d’inverno sembra morto
e dopo si dimostra vivo.
Ora conterò fino a dodici
e voi starete zitti e io andrò via.
La calma interiore è un modo d’essere che può trasformare la nostra vita: concentrarsi su una cosa per volta, lasciar stare tutte le imperfezioni della vita, nutrire un senso del momento, essere soddisfatti del presente. Da principio, la nostra meditazione potrà conoscere un qualche sviluppo, ma continuerà a essere caratterizzata da un certo grado di conflitto o di giudizio. A mano a mano, però, che aumenta la nostra bravura nel meditare, potremo apprendere l’arte dell’allentare la presa e dell’individuare un centro di assoluta quiete nel bel mezzo del continuo cambiamento dei nostri dati sensoriali. In questo modo, quando sediamo per meditare, potranno dischiudersi per noi livelli straordinari di silenzio e di pace, e ci sembrerà allora che l’intero universo si sia improvvisamente fermato. Il nostro corpo potrà diventare luminoso e trasparente come un chiaro cielo di primavera. I nostri sensi e il cuore si potranno aprire con dolcezza e delicatezza, e assieme a ciò si manifesterà un forte senso di contentamento. Potremo finalmente imparare che la felicità scaturisce dalla quiete del cuore e non dal cambiamento delle circostanze esteriori. E la scoperta di tutte queste cose sarà al tempo stesso una facoltà e un frutto della nostra pratica.»
[ Da: Jack Kornfield, Joseph Goldstein, “Il cuore della saggezza. Esercizi di meditazione“ ]
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