Tempo fa decisi di astenermi da “riflessioni” superflue limitando qualunque considerazione ad argomenti strettamente pertinenti. Lì per lì mi adattai di buon grado. Tuttavia, dinanzi a determinate circostanze, quali l’infingardaggine, il menefreghismo delle classi politiche più tradizionali – quelle dell’ingloriosa epopea appena trascorsa – dinanzi gli stenti di milioni d’individui in balia di se stessi e privi di lavoro, lo sgomento provato per la loro assurda e barbara crudeltà diventa quasi eccessivo. L’unico rimedio possibile è tentare di comprendere, razionalizzare.
Uno degli errori più ricorrenti che taluni “conoscitori dell’anima” commettono nell’interpretare la relativa facilità con cui degli individui così comuni possano trasformarsi da ordinari carrieristi politici in adusi e pervicaci torturatori è considerare i loro comportamenti come reazioni pavide. Al contrario, se la cattiveria palesata con cotanta freddezza non fosse stata già presente nelle loro pur deboli, fiacche e prostrate menti, nulla l’avrebbe indotta o suscitata. Tanto meno l’ipotetica coercizione a odiare subita, eventualmente, in tenera età.
La cultura, le religioni organizzate, indirizzano, di fatto, la visione individuale e l’esperienza soggettiva esclusivamente verso il mondo esterno. Riti, celebrazioni, preghiere pubbliche, proclami di fede, sono solo parodie della spiritualità. L’aver negato e dissuaso dall’esperienza soggettiva dell’inalienabile e primeva purezza interiore che ci unisce indissolubilmente quali fratelli, sorelle, figli dell’esistenza, è stata un mancanza grave, reiterata e perpetrata con indifferenza apparentemente incolpevole, ma a cui bisognerà comunque rimediare.
Se la porta simbolica che conduce alla propria interiorità è chiusa, sbarrata, come credere ai fantastici tesori ivi racchiusi? Come raggiungere l’incontaminata sorgente, munifica e benevola, dispensatrice di cotanta freschezza, amore, coraggio e vitalità? Come dissetarsi sino al punto di trascendere la propria mente e veder poi, questo è il vero miracolo, che la sua natura di luce non è racchiusa esclusivamente dentro di noi?
Trascendere la propria mente non significa dividerla in mente mondana, venale, avida o criminale da una parte e mente spirituale dall’altra; oppure condizionarla, indottrinarla, per tentare di superarne certi limiti impliciti. Bensì divenirne consapevoli.
Essa, la sua natura, spettro luminescente che riflette tutto ciò con cui viene in contatto e ne proietta l’iridescente quintessenza, è presente dovunque. Sia nel dolore silente e represso dei persecutori che nella sofferenza lancinante e manifesta delle povere vittime, entrambi oppressi da un assurdo miraggio. Tutto quel buio laggiù non è affatto malvagità. Non ha una sua propria esistenza. E’ solo la tipica e riprovevole, assoluta mancanza di luce.
Vittime o carnefici, amici, nemici? Per quanto le nostre strade possano, lungo il cammino, dividersi e divergere, la meta rimane sempre la stessa, l’unificazione. Ricondursi, se mai ce ne fossimo apparentemente allontanati, all’essenza, alla divinità. Scaturigine inconfondibile di amore, compassione, certezza, gioia, felicità.
Certo, attraversando questa selva confusa di opinioni distorte tali idee potrebbero apparire fuori luogo. Specialmente quando la sofferenza provocata dall’incertezza o dalle mille difficoltà contingenti ci sovrasta. Ma tant’è! Arrendevolezza? Amorevolezza? Gioia di vivere? Semplicità?
Dalle considerazioni banali all’inconcludenza felice il passo è breve. Un piccolo sguardo all’incommensurabile. Come una nenia, una melodia, un mantra che ripete senza ripetere per poi tacere. E donarci così, semplicemente, la misura inesorabile del silenzio di chi non c’è più, di coloro che permangono unicamente nei nostri ricordi. Oppure di quelli che dovranno ancora ritornare per comprendere meglio ed allietare questo sorprendente spettacolo, siffatta bizzarra rappresentazione.
Vittime o carnefici, amici, nemici? Quale soluzione? Mi sembra proprio lo stesso discorso dualista di sempre. Un esempio. Saggezza e amore non sono due facce della stessa medaglia. Saggezza è Amore. E non è uno stato verso cui tendere in futuro. La saggezza è l’amore che si esprime qui e ora, nel presente. Questo fu sia l’insegnamento del Buddha che la predicazione del Cristo. Ma tale approccio risulta necessariamente indigesto a coloro che prediligono il potere temporale mercanteggiando nei templi … Questi individui o gruppi, per salvaguardare i loro interessi e soddisfare la sciocca avidità che li anima, devono necessariamente procrastinare la giustizia favoleggiando futuribili luoghi di delizia, paradisiache realizzazioni inconsistenti.
Suppongo che il nocciolo della questione sia il seguente. Sarebbe l’ora che talune religioni smettessero di confondere la gente, il prossimo, con false promesse o bugie. Rifiutassero l’ipocrisia, qualunque tipo di strumentalizzazione. Distinguessero chiaramente l’ambito civile dai propositi religiosi. Si adoperassero concretamente per migliorare le persone. Lasciassero alla collettività l’onere di risolvere le emergenze umanitarie o provvedere a quegli aiuti finalizzati a superare le cause stesse di precarietà e indigenza senza addurre la mera giustificazione che la spiritualità è pure servizio. Infatti un servizio reso senza la giusta consapevolezza può, la storia insegna, dimostrarsi inadeguato e persino deleterio. Cessassero di far propaganda per difendere o far valere una loro presunta supremazia. Riaccogliessero le istanze spirituali originarie cui si richiamano – ahimé lo dimostrano i fatti – perlopiù solo declamando. Insegnassero come realizzare, conquistare, raggiungere o conseguire una propria spiritualità e non limitarsi alla precettistica collettiva che spesso deborda in quella politica. Spiegassero che la vera via per il rispetto reciproco e la benevolenza non consiste nell’adozione superficiale e ipocrita dei cosiddetti “valori”, ma nel divenire consapevoli, che questi “valori” sussistono già, di per sé, nella propria interiorità e quindi basterà rinvenirli, farli emergere, attualizzarli. Non solo limitarsi a promuoverli, ma creando e favorendo le condizioni per farli affiorare.
L’intero oceano della gioia sussulta sotto la modesta onda della nostra coscienza. L’essenza della vita, è proprio dietro i nostri occhi, pensieri, sentimenti. Quando siamo calmi trapelano armonia, chiarezza, serenità.
Ciascuno di noi deve riconoscere la propria illusione personale. L’illusione di essere onde separate le une dalle altre e dal contesto del proprio mare, l’oceano di vita.
Ipse dixit, la chiave non è più segreta. Allorquando ci renderemo conto di essere pure quel ramo di ciliegio in fiore, come un gabbiano sul mare che sfida senza timore l’improvvida tempesta, diverremo, non di meno, il nostro presunto nemico. Ne comprenderemo le ragioni augurandogli di cogliere, anch’egli rapidamente, i frutti dei propri più reconditi ed autentici sentimenti.
Grazie per la cortese attenzione.