La maggior parte delle persone mi chiedono – a ragion veduta – come meditare. Oppure se quel determinato metodo – che spesso e volentieri promette mari e monti – sia più o meno efficace. Al di là del più che naturale bisogno di verità, ossia della pressoché imprescindibile necessità di credere che un bel giorno riuscirai a superare lo smacco di sentirti relativamente inadeguato o limitato – in balia degli umori, talora depresso, talaltra incompleto, incompreso, ce n’è un po’ per tutti … –, cos’è che rimane? Come uscirne, come superare l’impasse del circolo vizioso, del percorso coatto che ti costringe a reiterare i medesimi gesti ed escogitare le analoghe, pressoché inutili soluzioni? Già, dov’è che ti afferri, con che cosa t’identifichi? All’ostinata ricerca dell’ennesimo – ma non ultimo – inesorabile appiglio.
Per quanto mi riguarda, nella mia veste di sobrio principiante della nobile e antichissima arte detta meditazione, quindi affatto istruito, per nulla dotto – mi piace scherzare e prendermi in giro da solo – ti suggerisco – ora sono serio – di provare a osservare il respiro. Ma cominciamo dall’inizio. Anche se è davvero l’ennesima volta che ne parlo, spero sempre di riuscire a comunicartene il segreto implicito, sotteso. Procederò in modo caotico. Queste non sono formule, ma spunti da cogliere al volo.
Se dovessi suggerirti di non pensare e rimanere in silenzio, così, direttamente, come se nulla fosse – tranne che nel caso di particolari individui predisposti, digià per natura, a interiorizzare la mente – sarebbe inutile. Si creerebbero tensioni eccessive, persino fuorvianti. Al contrario, osserva il flusso spontaneo del respiro e, se necessario – se può esserti utile – pensa nel contempo a ciò che stai facendo, pensa al respiro. L’esercizio iniziale consiste proprio nell’incanalare, nell’instradare i pensieri – la mente – in una determinata direzione. I modi in cui tutto ciò si realizza in pratica sono tanti. Potresti percepire la frescura dell’aria che ti rigenera, ossia l’energia che l’accompagna o che suscita …
Un momento, descrizioni, se non istruzioni, ce ne sono oramai a iosa. Quanto sarebbe utile un ulteriore vademecum? La meditazione si può davvero praticare proficuamente esercitandosi, aderendo? La risposta è inequivocabile: si! Solo che non si tratta di un sistema, non è un percorso, non ci sono riti che tengano, tanto meno credenze. la meditazione è come la luce.
Cosa comporta l’osservazione del respiro? Che lo specchio della mente si tranquillizzi, che i suoi frangenti anomali si plachino, che le onde di calma pervadano ogni singola cellula di coscienza e la consapevolezza del proprio sé – o non-sé più intimo –, ossia dell’essenza, permei l’essere, è risaputo, relativamente scontato. Ma in pratica, come avviene? Non mi sto impelagando nell’ennesima guida, nella compilazione di un ulteriore prontuario, l’ho escluso in partenza. Ciò che mi preme è sottolineare i punti più salienti, forse finanche risolutivi di questa pratica.
Primo, principia, ossia dedica un determinato lasso di tempo a respirare consapevolmente. … L’attenzione al flusso spontaneo del respiro non dovrebbe vagare a caso, ma andrebbe circoscritta in un punto tra il naso e la bocca laddove l’aria lambisce la pelle o, nel caso in cui sia impossibile mantenere la bocca chiusa, sfiori il palato.
Una volta individuato con chiarezza il vostro punto di contatto del respiro, non muovetevi da quel punto. Usate quest’unico punto per mantenere fissa l’attenzione. Senza scegliere un punto, vi troverete a muovervi dentro e fuori dal naso, ad andare su e giù per la trachea, inseguendo senza posa il respiro che non riuscite mai ad afferrare perché continua a cambiare, muoversi e fluire. Se avete segato del legno conoscete già il trucco. Come carpentieri, non state là in piedi a guardare la lama della sega andare su e giù, vi girerebbe la testa; ma mettete l’attenzione sul punto in cui i denti della sega mordono il legno. È l’unico modo per poter procedere in linea retta. Come meditanti, mettete a fuoco l’attenzione su quell’unico punto di contatto alla base del naso. Da questa posizione di vantaggio, guardate l’intero movimento del respiro con chiara e raccolta attenzione. (Henepola Gunaratana)
Sopraggiungerà il momento in cui il cielo limpido della propria interiorità si schiuderà d’improvviso. Le nubi dei pensieri erranti svaniranno pressoché per magia. L’oceano dell’intelletto apparirà così terso che scorgerne il fondo-senza-fondo sembrerà persino un gioco. Ma subito prima che tutto ciò avvenga ciascuno avvertirà a modo suo un determinato segno che indica, in sintesi, una modifica, ossia un’espansione, del proprio stato di coscienza. L’accesso ai reami di questa nuova condizione di consapevolezza è stato descritto così:
«Come un uomo che voglia domare un toro lo legherà a un albero, così la mente dev’essere saldamente legata con la consapevolezza all’oggetto della meditazione.» (Parole del Buddha “Domare un toro”)
Commento: Ashin Buddhaghosa spiega che quando un meditante lavora nel modo giusto, mantenendo la consapevolezza del tocco del respiro che entra e che esce all’imboccatura delle narici, prima o poi deve manifestarsi un segno. Spiega anche che il segno non è per tutti il medesimo. Per alcuni sarà un tocco lieve come un fiocco di cotone, un batuffolo di seta o una leggera brezza. Per altri potrà essere una forma come una stella, un diadema di gemme o un filo di perle. Altri avvertiranno una sensazione grezza come se venissero pinzati da una molletta di legno. Altri sperimenteranno il segno come una lunga treccia di corda, un mazzo di fiori o uno sbuffo di fumo. Altri ancora lo avvertiranno come una ragnatela, una pellicola di nuvola, un fior di loto, la ruota di un carro, il disco della luna, il disco del sole. Se appare un segno luminoso, non bisogna cominciare a pensarci né dargli attenzione diretta; il segno è originato dalla percezione, perciò bisogna capire che appare diverso a causa della differenza di percezione. (Visuddhi Magga)
Quindi non si avvertirà più nulla, nemmeno il punto stesso, solo calma e serenità di spirito. Questo è, per sommi capi, lo stato meditativo.
Secondo, persevera, ossia reitera tutti i giorni, perché salvo rare eccezioni la tua energia intrinseca non si libera, non si sblocca di punto in bianco, ma necessita di un breve – la durata è soggettiva – periodo di tempo. Allorquando sopraggiunge la calma non indugiare molto, ma riprendi le tue consuete attività quotidiane. Terzo, pratica, compatibilmente, molta attività fisica. Anche il semplice, ma affatto banale camminare può rivelarsi alquanto utile.
Epilogo
Nessun Buddha, sia del passato che attuale, ipotetico o reale, potrà mai darti nulla di più di quanto tu non abbia già. Persino le sue eventuali indicazioni non sono in realtà che sproni a non dormire, a osservare, a contemplare o a pregare ed eventualmente a meditare.
Molto interessante e utile per la pratica, vi ringrazio e apprezzo …