I sensi sono ombre di nuvole vaganti nel cielo e ciò che li avvelena, cioè la libidine, l’ira, e l’ignoranza, sono bolle di schiuma che appaiono e scompaiono. Verificata la vera forma, non resta nient’altro e l’effetto dell’inferno, all’improvviso, è distrutto. [Yoka Daishi (VII sec.), “Canto del Risveglio]
Trincerarsi nella roccaforte mentale credendo sia inespugnabile o immune alle inevitabili tensioni che l’odierna vita quotidiana comporta è pia illusione. Pensare di temprarla mediante il semplice ausilio di metodi peraltro straordinari come la meditazione è un ulteriore miraggio. Quanti meditatori si sono resi conto che il surplus di energia reso disponibile dalla pratica non era incanalato o impiegato in modo ottimale? Quando si confonde una parte con il tutto ci si ritrova quasi sempre menomati. Se vuoi meditare con profitto sii totale, rammenta d’identificarti soprattutto con i reami di coscienza più autentici, come, ad esempio, la compassione e la tolleranza. Edifica la tua fortezza sulla roccia della meditazione. Ora il quesito di un cortese visitatore concernente ira e sfoghi che possono verificarsi malgrado la pratica.
Messaggio
Nome: Pippo
Oggetto: Castelli di sabbia
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Medito già da circa un semestre con apprezzabili risultati, soddisfatto dei cambiamenti interiori e delle novità. Tuttavia al primo soffiare del vento contrario mi lascio andare a sfoghi d’ira incontrollabili che demoliscono chi mi sta vicino e demoliscono anche me, Scatti d’ira che nell’ultimo periodo ero riuscito a contenere, adesso mi sovrastano e non so e non voglio limitare… Chiedo troppo: un consiglio. Pippo.
Risposta
Pippo, non ho capito bene se questi impulsi d’ira li avevi già, anche sei mesi fa, prima d’iniziare a meditare, oppure ti sono capitati solo – o in particolar modo – dopo. Se me lo chiarisci posso rispondere in modo più adeguata. Poi dovresti, gentilmente, descrivermi in sintesi il tipo di meditazione che pratichi. Grazie.
Replica
Questi scatti d’ira li ho sempre avuti, è anche per questo che ho cominciato a meditare, per attenuarli…, qualche risultato c’è stato, ma ogni tanto mi lascio andare… pratico la meditazione seduto, con le gambe incrociate su di un cuscino, focalizzo la mia attenzione sul respiro, cerco di limitare in modo attivo l’affiorare di pensieri anche se questi, quando arrivano, non permangono tanto da ingigantirsi. Ho acquisito un certo automatismo (se così si può dire) durante la pratica, una propensione a limitare i pensieri, attraverso momenti estatici a cui cerco tuttavia di non attaccarmi, sviluppo visualizzazioni che mi aiutano a focalizzare la mia attenzione, prego, chiedo benefici per persone a me care, per i miei colleghi, per noi tutti. Dopo riesco a annusare odori mai sentiti prima, fruscio di foglie al vento, giochi di luce tra rami ondeggianti. Una sensazione di gioia interiore mi pervade. Ringrazio, sempre.
Risposta
Pippo, ti sei mai chiesto come l’osservazione del flusso naturale del respiro dischiuda un dominio percettivo che può esser definito o considerato la dimensione della coscienza spirituale? La maggior parte dei commentatori ritiene che il relax della mente comporti maggior chiarezza e di conseguenza un approccio esistenziale più profondo, una qualità di consapevolezza più espansa. Ma tu, che sei soprattutto un meditatore, ti sarai senz’altro reso conto che suddividere la sfera della mente da quella del corpo è un approccio del tutto artificioso, per certi versi persino riduttivo. Noi siamo mente-corpo, un’entità unica, inseparabile.
Sorvolo sulle questioni teoriche e considero subito gli impulsi emotivi. Se non c’è equilibrio, se la meditazione coinvolge solo gli ambiti in cui sorge e decade il pensiero, può capitare che le reazioni agli stimoli siano esacerbate. Quando poi c’è un disagio pregresso – sia pur lieve, oggigiorno persino generalizzato – il malessere diventa ancora più marcato. La consapevolezza rimuove il terriccio superficiale e le inevitabili contraddizioni intime emergono in tutta la loro evidenza.
Una parentesi. Il primo passo è ovviamente quello di rivolgersi al proprio medico, eseguire gli esami clinici di routine e valutare l’eventuale disagio psicologico. Se non c’è necessità di ricorrere a cure mediche puoi provare i rimedi che le tradizioni spirituali suggeriscono.
Noi siamo corpo-mente. Non addestrare solo un frammento pensando che il resto seguirà. Se la salute o l’età te lo consentono pratica le asanas dello hata yoga e la meditazione camminata. Effettua lunghe passeggiate, almeno il doppio del tempo dedicato alla contemplazione e-statica. Non disdegnare l’esercizio fisico, i lavori manuali. Ci sono anche ottime meditazioni dinamiche, come quelle di Osho. So per certo che il Tai Chi Chuan, una sorta di meditazione in movimento, ha aiutato molto. Più in generale, quasi tutti gli esercizi che richiedono modalità fisiche di consapevolezza espressiva sono alquanto utili.
Gli escamotage per lenire le proprie eventuali tensioni sono tanti. Oltre la meditazione camminata, che suggerisco sovente, potrebbe dimostrarsi utile meditare in compagnia di un … albero. Non uno qualunque. Scegli quello che ti attira di più e che, per l’appunto, dovrà essere sempre lo stesso. Avvicinalo come se fosse un amico. Instaura un rapporto empatico. Sentilo, toccalo, parlagli, abbraccialo e con il tempo avrai la sensazione che un’energia indescrivibile fluisca e circoli gratificando entrambi. Diventa l’albero, sii tutt’uno con esso.
Lo scopo di tutto ciò è sempre quello di attingere al sostrato inerente, che non è solo tuo, ma puoi considerarlo come l’anima del mondo. Noi siamo mente-corpo. Ciao e grazie.
Epilogo
I castelli di sabbia della vita: la convinzione di poter essere sempre e comunque autosufficienti senza dover dipendere mai da niente e da nessuno; la certezza che le proprie opinioni siano sempre le migliori, le più appropriate, nonché opportune; la sicurezza di esser già pienamente consapevoli. Prima ci si arrocca in un presunto fortino spirituale che coincide con un determinato credo, con la fede. Poi ci si isola dimenticando che siamo essenzialmente tutt’uno con qualunque manifestazione senziente. Infine ci si identifica con le peculiarità dell’egoismo e della materialità più becere trascurando che “reciprocità” non è un termine astratto, ma il modo in cui ciascuno si correla con l’esistenza, nonché la maniera secondo cui la vita risponde.