La meditazione è una pratica antica e preziosa che ci aiuta a vivere con più consapevolezza, serenità e saggezza. Tra le varie forme di meditazione, una delle più note e diffuse è quella insegnata dal Buddha, il fondatore del buddhismo. In questo articolo vi parleremo di una specifica pratica di meditazione buddista, chiamata “offrire la propria gioia”. Si tratta di un insegnamento che il Buddha diede in risposta a un’offesa ricevuta, mostrando come si possa trasformare il dolore in felicità e il rancore in compassione. Questa pratica consiste nel riconoscere la gioia che è sempre presente nel nostro cuore e nel condividerla con gli altri esseri, anche con quelli che ci hanno fatto del male. In questo modo, si crea un legame di amore e armonia con tutto il creato, si supera l’attaccamento al proprio ego e si raggiunge una pace profonda e duratura. Se volete saperne di più su questa pratica di meditazione e su come applicarla nella vostra vita quotidiana, vi invitiamo a leggere il post completo.
[…] un insegnamento che Buddha diede quando qualcuno tentò di rubargli la gioia insultandolo. Buddha propose una pratica in quell’insegnamento. È destinata a quelli che vogliono andare al di là dell’identificazione da tutto ciò che ci può allontanare dalla Verità, tutto ciò che oscura la gioia che è sempre dentro di noi.
Eccola…
Dopo aver offerto il suo addestramento, Budda era seduto tranquillamente e i discepoli erano seduti con lui. Nel bel mezzo di quel silenzio, un uomo si alzò e cominciò a dire a Budda quanto fosse imperfetta la sua visione delle cose e a come ingannasse le persone parlando di quei modi di vita inconcepibili. Budda era seduto e ascoltava, ma non si muoveva e non rispondeva. Il suo sorriso dolce era sul suo viso, non c’era alcuna traccia di contrarietà in lui. Egli non ascoltava con nessun particolare atteggiamento, restava semplicemente calmo e presente e anche ricettivo.
I discepoli di Budda s’agitarono un po’, per vedere chi provocava una tale tempesta in un momento di pace con il gran Maestro. Poi, l’uomo insultò di nuovo Budda dicendo che voleva essere importante e che aveva costruito quella cosa che chiamava illuminazione e una vita piena di compassione. Budda guardò l’uomo tranquillamente, poi abbassò gli occhi e ascoltò, semplicemente. Ora i suoi discepoli non si contentarono più di agitarsi, le loro sopracciglia si aggrottarono e si guardarono l’un l’altro interrogandosi con gli occhi. L’uomo si alzò e disse a Budda che era un falso profeta e che, se veramente era chi diceva d’essere, se il suo stato di coscienza era così elevato, perché non rispondeva alle accuse fatte contro di lui? Budda era semplicemente seduto e ascoltava attentamente. L’uomo se ne andò, facendo ancora rimbrotti durante il cammino. Lo si poteva sentire da molto lontano, finché la sua voce non si udì più.
Di nuovo il silenzio si stese sull’assemblea, ma questa volta si avvertiva un senso di discordia. Un discepolo avvicinò Budda con rispetto e gli domandò: “Onorato del mondo, perché non hai risposto alle critiche del pazzo? Perché non gli hai mostrato il tuo potere yogico e con la tua saggezza vincere la partita?” Budda disse: “Non si tratta di vincere o perdere in situazioni come quelle, ma di offrire insegnamenti preziosi ed è quello che ho fatto”.
“Eh, Maestro, che insegnamento è?”.
E Budda disse: “Se tu mi avessi portato un mazzo di fiori, una scatola di dolci e una stoffa di seta e non li avessi accettati e te li avessi lasciati, cosa avresti tu e cosa avrei io?”
“Oh, gran Maestro, io avrei i fiori, i dolci, la seta e tu non avresti niente”
Budda disse: “Caro discepolo, è lo stesso per le parole insultanti di una persona”. Budda offrì la sua gioia a tutti in quel momento, con lo splendore della luna che rischiara le tenebre nel suo sorriso. Ognuno sentì la propria gioia salire dall’interno. Sentirono anche che l’autore degli insulti doveva anche lui aver ricevuto una grande benedizione. Potete dirvi nella vostra mente in questo momento: “Non sono un Budda”. Ma in effetti, si, lo siete. Per noi tutti, compreso per Budda, è l’oggetto di una pratica (che vuol dire qualcosa di pratico) spingere i limiti della nostra coscienza al di là dell’identità e del condizionamento, in modo da trovare dentro di noi ciò che cerchiamo altrove.
– Da: ShantiMayi
– Pubblicato in: Una tazza di thè … e la felicità – 3ème Millénaire n. 75
– Fonte web: Sviluppocoscienza.it
– Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini