La reincarnazione è un tema che affascina e – al tempo stesso – inquieta. Per molti occidentali, l’idea di rinascere in altre forme di vita dopo la morte è difficile da accettare o comprendere. Per i buddhisti, invece, la reincarnazione è una realtà inconfutabile, che spiega le condizioni di esistenza di ogni essere e lo stimola a vivere con saggezza e compassione. Ma cosa significa esattamente reincarnarsi? E come possiamo relazionarci con questa prospettiva senza cadere nel dogmatismo o nel dubbio? In questi appunti, vi proponiamo le dotte, esaustive – e per nulla dogmatiche – riflessioni di Jack Kornfield, uno dei più noti insegnanti di meditazione buddhista nel mondo occidentale. Nel prosieguo, Kornfield racconta la sua esperienza personale con il concetto di reincarnazione e ci offre alcuni spunti per meditare su questa dimensione della psicologia buddhista. Buona lettura!
«La reincarnazione è una dimensione della psicologia buddhista che può davvero mettere in difficoltà la mente occidentale, coi suoi insegnamenti sulle vite passate e future. La prospettiva delle molteplici vite affonda le sue radici sia in una cosmologia formale che nella cultura popolare, per la quale ha la funzione di spiegare la condizione di ognuno a livello sia individuale che sociale.
Quando arrivai al monastero della foresta ero un giovane con una mente di formazione scientifica e parecchi dubbi sulla rinascita. Sentendoli, Ajahn Chah rise e mi disse di non preoccuparmi, che avrei potuto trovare la libertà anche senza credere nella reincarnazione; poi descrisse un famoso dialogo nel quale il Buddha veniva interrogato da un viandante su ciò che accade dopo la morte. Per tutta risposta il Buddha gli aveva fatto una serie di domande; innanzitutto gli aveva chiesto: “Se ci fosse davvero una vita futura, in che modo vivresti?” Il viandante aveva risposto: “Se ci fossero davvero vite future, vorrei essere consapevole in modo da seminare semi di futura saggezza. E vorrei vivere con generosità e compassione, perché essi portano felicità ora e perché seminano i semi dell’abbondanza nel futuro”. “Giusto”, aveva risposto il Buddha, e aveva continuato: “E se non ci fossero vite future, come vivresti?” Dopo averci pensato sopra, il viandante aveva risposto allo stesso modo: “Se questa fosse la mia unica vita vorrei lo stesso vivere in presenza mentale, in modo da non perdermi niente. E vorrei vivere con generosità e compassione, perché portano felicità qui e ora e perché comunque non potrò tenere nulla con me, al momento della fine”. “Giusto”, aveva riconosciuto il Buddha. Sollecitando risposte uguali a quelle due domande, il Buddha aveva dimostrato che vivere con saggezza non dipende dalla fede in un’esistenza dopo la morte.
In molte altre occasioni, tuttavia, il Buddha ha dato insegnamenti sulle vite passate. Quegli insegnamenti assolvono a due funzioni psicologiche importanti. Quando si attribuisce alle vite precedenti e alle azioni del passato le condizioni di sofferenza o piacere nella vita attuale, si allevia l’ansia generata da un destino capriccioso e caotico; è una prospettiva che può portare accettazione, agio, distacco, grazia nell’affrontare le difficoltà della vita. La seconda funzione degli insegnamenti sulla rinascita è stimolare una maggiore cura: agiamo con più attenzione, se ci preoccupiamo delle possibili conseguenze delle nostre azioni nelle rinascite future.»
(Da: Jack Kornfield, il Cuore Saggio)
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