Un istruttivo, quanto emblematico racconto indiano. Un bodhisattva ebbe l’infelice idea di convertire un feroce e spietato serpente ai principi nonviolenti e compassionevoli del Buddismo.
Quale fu lo stupore del bodhisattva quando, appena un anno dopo, lo incontrò di nuovo. Irriconoscibile. Pieno di graffi, tagli, segnato dalle percosse … Il sant’uomo, sbigottito, gli chiese cosa fosse accaduto. Il serpente rispose che dal momento stesso in cui era divenuto buono aveva perso il rispetto di tutti, nessuno lo temeva e chiunque, bambini compresi, lo malmenavano senza il benché minimo rimorso. Nessuna paura? Bell’affare! In cambio della sua silente affettuosità, della propria premurosa benevolenza, aveva ricevuto solo disprezzo.
A quel punto il bodhisattva strizzò gli occhi perplesso, ma sorrise. Si rese conto di non esser riuscito a spiegar nulla del Buddismo, men che meno di nulla riguardo la “retta condotta” di vita. Rincuorò, quindi, la malcapitata belva puntualizzando che per rinunciare agli sconsiderati appigli dell’ego, ai suoi attaccamenti, nonché all’illusione di un intramontabile sé, non avrebbe dovuto affatto immolarsi. Gli chiarì che, semmai, il miglior sacrificio sarebbe stato quello di perseguire l’equilibrio. E che l’atteggiamento eccessivamente bonario – l’esporsi, cioè, alla gogna – sarebbe equivalso solo a risvegliare le tendenze negative già presenti, quantunque assopite, negli altri.
Il feroce serpente si guardò intorno. Aveva afferrato subito la lezione. Compassione non implica necessariamente il dover subire, sempre e comunque, ad oltranza. Benevolenza non comporta l’esser costretti a sopportare i peggiori soprusi. Amorevolezza non richiede, inevitabilmente, il proprio sacrificio. Su la testa, si disse: “Ammonirò chi tenterà d’annientarmi dimostrandogli, senza tentennamenti, a quali pericoli incorre … rinuncerò agli estremismi, ma verità e fermezza saranno le mie nuove guide”!
L’aneddoto si conclude qui. Ciascuno può aggiungervi uno scorcio della propria vicenda personale, nonché interpretarlo in virtù dei tempi, di quanto scorre, muta o permane …
Commento
La sottomissione eccessiva, ben lungi dal risolvere alcunché, alimenta solo l’altrui protervia. Non è affatto indice d’alta spiritualità, bensì di straordinaria viltà.
Tuttavia la vera fermezza nasce soprattutto dall’aver conseguito la pace. Quando la maggior parte degli abituali conflitti interiori si sono dissolti la qualità della propria energia muta considerevolmente. È la volontà dello Yogi che nel trascendere la forza bruta dell’egoismo emana un’armonia tale da convertire chiunque alla giustizia.