La più vera e autentica preghiera non consiste nel chiedere a una qualche – presumibile o meno – entità super-celeste di esaudire o – per lo meno – d’intercedere per ovviare – porre rimedio – a una specifica nostra imprevista, se non critica, défaillance. La più vera e autentica preghiera è di rimuovere il nostro – pressoché onnipresente – egoismo. È dunque contemplazione della pura vacuità, della sua intelligenza implicita che non sottilizza su ciò che è giusto o sbagliato, opportuno o fuori luogo, ma tiene inevitabilmente conto della natura omnicomprensiva di ciascun essere senziente e, quindi, della reciproca interdipendenza.
«Il cristianesimo attribuisce molta importanza al pregare Dio. Che cos’è la preghiera per i buddisti? Come pregano i buddisti? Il desiderio celeste è preghiera. La preghiera terrena proviene dal desiderio egoistico. Ma, quando preghiamo per la pace e la felicità di tutti gli esseri senzienti, desiderio e preghiera sono una cosa sola, e questo desiderio è la base della nostra vita, Senza desiderio, la vita terrena non ha nessun significato; la preghiera è la base della nostra vita religiosa.
La nostra prima vera preghiera è di eliminare la nostra natura egoistica. L’oggi è il risultato della preghiera di ieri, e l’oggi è la causa delle preghiere di domani. Offriamo la nostra preghiera al futuro, e questa preghiera viene ascoltata ed esaudita oggi. Pregando che ogni preghiera sia ascoltata ed esaudita, continuiamo la grande preghiera.
Ma ora dobbiamo chiederci: chi preghiamo, a chi offriamo la nostra preghiera? La risposta è evidente. Non dovrebbe essere necessario parlarne, ma voglio citare alcune cose da evitare, alcune cose non necessarie che la gente fa perché non conosce la vera preghiera.
Se andate in Giappone o in Cina, vedrete uomini e donne inginocchiati davanti a un’immagine del Buddha o di un bodhisattva (un essere illuminato), pregando per il bene di una madre ammalata o un padre morente. Alcuni pregano Avolokitesvara, il bodhisattva della misericordia. Una mia cugina pregava ogni mattina Avolokitesvara battendo sul gong di legno a forma di pesce. Non si fermava mai, qualsiasi cosa accadesse. Il giorno del grande terremoto, mia cugina si mise sulle spalle la sua grande immagine di Avolokitesvara e cercò di correre attraverso la grande conflagrazione che infuriava su Tokyo. Tutti le gridavano “Gettala via!”, ma lei rifiutava. Un amico trovò il suo corpo con la statua ancora sulle spalle. Egli parlò della sua fede in Avolokitesvara: “Bene, certamente è in paradiso”. Io non riuscii a dire una parola, ma la compativo, pensando: “Questa non è vera preghiera”. Il suo zelo era patetico, era una sciocca. Ovviamente, potete non portare sulle spalle un’immagine di Avalokitesvara. Ma riuscirete a non portare nella mente qualche immagine mentale che non vorreste abbandonare nemmeno se foste in pericolo di morte? È lo stesso, questo attaccamento a un’idea che non potete abbandonare mentre morite in una conflagrazione mentale. Voi ridete di mia cugina, e io rido di voi. Mia cugina era una donna priva di istruzione, perciò portava un oggetto materiale; voi siete istruiti, e portate degli oggetti mentali. Se nella vostra mente c’è un’idea soggettiva, la vostra non è autentica preghiera. La vera preghiera è: “Non avrò in mente nessuna idea, non proverò attaccamento per nessuna idea. La mia mente è pura vacuità”. La vacuità è pura realtà che non ha in sé nessuna nozione – come l’acqua pura.»
(Da: “L’occhio zen – discorsi di Sokei-an”)
Sokei-an fu il primo maestro zen che si stabilì in America e fece conoscere agli americani il risveglio “improvviso” della filosofia orientale. Per Sokei-an ciò che contava non era riprodurre il training ortodosso del monachesimo zen giapponese, diretto a far sì che l’individuo “dimentichi sé stesso”, ma piuttosto puntare sulla vera individualità, sull’autenticità della propria risorsa spontanea, da rintracciare nel mondo delle relazioni umane.