Non tentare di capire cosa stia scrivendo. Se l’interpreti potresti indovinarlo, avvicinarti, ma non saresti comunque certo d’averne colto il senso. Se invece provi a sentirlo, può darsi che in un momento di grazia emotiva tu riesca a intuirne l’essenza. Ma intuire non è conoscere e sarai fuorviato dalla realtà. L’unico modo per uscirne fuori è tacere, che equivale a inchinarsi, per ammettere la propria ignoranza, diventare possibilisti e lasciare aperta la porta ad ogni evenienza. Solo che la porta non esiste. E questa è la meditazione.
In meditazione
Quando parli o scrivi
con la sola mente
corri il rischio continuo
d’esser frainteso.
Ad esempio, se dicessi
che ci vuole coraggio
potresti intenderlo come
il coraggio di ribellarti;
o quello di sopportare stoicamente;
mentre intendevo solo
il coraggio di cambiare.
Quando invece parli col cuore
– i ghirigori del pensiero logico
che si appiglia dovunque
pur di non mollare la presa
e consentirti un po’ di calma –
sono più tenui, sfumati.
Ma se piuttosto ti riservi un frangente
durante cui non parli né pensi,
bensì ti adagi nel tuo stesso presente
e attendi all’erta,
l’inattendibile farà capolino
come un merlo d’inverno
pronto a ingannarti
oppure a farti santo.