La meditazione è, sostanzialmente, una faccenda individuale. Per anni ho prestato sinceramente fede ai più svariati insegnamenti tradizionali. Ho praticato, alternativamente, diverse tecniche tentando, persino, d’immedesimarmi nel modus pensandi (cogitandi) di chi le aveva concepite, custodite e tramandate. Ma nulla, nessun risultato concreto. Solo una corsa contro il tempo per afferrare l’inafferrabile. Se tenti di scolpire il marmo grezzo del tuo spirito ti accorgerai ben presto che la tua sostanza più intima è così malleabile, così fluida ed evanescente da non riuscire a fissarla nemmeno per pochi istanti. La tua coscienza animica è così sfuggente che ben lungi dal donarti il benché minimo risveglio ti causerà solo infelicità, senso di precarietà e inconcludenza.
Ma la meditazione non doveva aiutarmi? Dov’è l’errore, nel credere supinamente nell’ennesima favola, nella frottola della super-coscienza? No, seppur passeggeri, seppur momentanei, i riscontri li ho avuti di continuo. Il silenzio, la calma, la consapevolezza, l’amorevolezza, li ho toccati per mano, mi ci sono immerso. Ho intravisto la sorgente della gioia, ma era così abbagliante che sono fuggito. Poi, una volta ambientato alla penombra del cielo interiore, ho conosciuto la leggiadria del suo tenue, ma indimenticabile chiarore. Brevi frangenti, in realtà solo transitori ed estemporanei episodi meditativi che mi hanno concesso si, la visione di scorci senza ombre, ma che, lì per lì, non sono riuscito a fissare, a reiterare, a rivivere.
La meditazione è, dunque, una frottola? Il sorriso e la serenità dei tanti Buddha che la storia spirituale tramanda sono solo una finzione? No, è tutto vero. Ne ho avuto, in parte, la riprova. Ma la via della meditazione deve adattarsi al temperamento individuale. Su questo sentiero le generalizzazioni sono del tutto controproducenti. La meditazione è un arte che solo un approccio individuale può aiutarti a disvelare.