Donde nasce il desiderio di meditare? Quel bisogno sorge spontaneo. Per alcuni di noi è il tentativo di sopperire o rimediare a un senso d’insoddisfazione, incompletezza, inadeguatezza. Oppure è il classico spirito d’avventura che si manifesta nel bisogno di esplorare territori sconosciuti. Per altri la ricerca di una conferma alle proprie credenze.
Pensi che non ci siano vere risposte a questi quesiti, che si tratti solo di un misto di supposizioni e credenze? No, non è così, le risposte ci sono, ma non come te le aspetteresti. Dentro ciascuno di noi c’è uno spazio di silenzio, una sorgente di viva acqua ristoratrice – rammenti la tradizione biblica? –; alcuni la percepiscono casualmente per un breve frammento di tempo, si dissetano, ma dopo un fugace lasso ne perdono il contatto. Quindi si mettono alla ricerca del come e del perché sia accaduto, nonché di un metodo per ritornarvi. I modi sono tanti, l’amore, la compassione, la preghiera, la recita continua del nome del proprio Dio o qualche altra formula significativa, il porsi un quesito profondamente esistenziale come – chi sono io? – e, infine, può esserci anche la meditazione.
Cos’è la meditazione
Cos’è la meditazione, un metodo? Meditare – coltivare il silenzio interiore osservando con distacco i propri pensieri ed emozioni – favorisce la consapevolezza, nonché il superamento di pregiudizi ed idiosincrasie varie. Non concepire la meditazione come una tecnica, bensì come un flusso di consapevolezza che dal particolare ti condurrà spontaneamente ad una visione e realizzazione dell’universale implicito, il più che personale ed al tempo stesso comune fondamento vitale. Una forza generatrice interiore descritta sovente come natura essenziale. La meditazione non è un esercizio, qualcosa che possa esser praticato, ma è possibile creare eventualmente le condizioni affinché accada spontaneamente, cioè favorirne l’insorgere.
La meditazione non è, come spesso si vorrebbe far credere, una metodologia di matrice orientale; e ovviamente non è nemmeno occidentale. Il fine della meditazione è sempre lo stesso, tranquillizzare la mente. Il pensiero discorsivo è paragonabile ad uno specchio d’acqua agitata da un certo numero di onde ricorrenti. Calmarsi, rilassare o rasserenare la mente consente di percepire in modo abbastanza cristallino se stessi. Ciò può avvenire solo quando le onde pensiero si siano placate lasciando intravedere ignote e inattese ulteriori profondità. Ci si renderà, quindi, conto che la propria effettiva realtà è l’interdipendenza.
Anche se le pratiche meditative sono orientamenti relativi ai bisogni individuali e non metodi assoluti, occorre sottolineare che tutte le tecniche presuppongono un imprescindibile elemento invariante, l’attenzione. Prestare attenzione significa applicarsi, osservare, diventando coscienti sia d’un eventuale oggetto d’interesse primario, come ad esempio potrebbe essere il respiro, che di tutto quanto irrompa, se non gremisca o affolli la mente. Oggetto d’attenzione è sia la propria interiorità (sentimenti, stati d’animo, pensieri o idee, …), che il mondo esterno (suoni, odori, immagini, …).
L’esercizio di meditazione più semplice
In base ai racconti di numerosi meditanti dei quali ho ascoltato l’esperienza pregressa provo a suggerirti un esercizio specifico. Nessuna invenzione. Si tratta solo della riproposizione di un metodo ben noto, ma in un linguaggio semplice, privo di tecnicismi o riferimenti religiosi di alcun genere.
Siedi in silenzio e osserva tranquillamente il flusso dei pensieri che come nubi attraversano il campo della tua coscienza. Osservare va inteso nel senso di prendere atto. Dapprincipio i pensieri si susseguono l’un l’altro quasi vorticosamente. Tuttavia pazientando un po’ diventano più radi e si verificano delle pause durante cui intravedi unicamente – è una metafora – il cielo limpido della tua consapevolezza. Non intervenire sui pensieri, non tentare di modificarli, tanto meno di fermarli, non sostenerli o alimentarli. Astieniti pure dal giudicarli e la mente diverrà serena e rilassata senza che ti sia impegnato in addestramenti particolarmente difficili. Hai semplicemente trovato il coraggio di adeguarti ad un ritmo naturale senza contrapporti a nulla, bensì cavalcando l’onda della tua stessa amorevolezza.
Lo spazio libero e sgombro di pensieri che si rivela è pura coscienza. Il tenue chiarore ancestrale che lo illumina è una sorta di consapevolezza dove soggetto e oggetto sono temporaneamente uniti. Ed ecco il conoscitore, il testimone, colui che riconosce se stesso in quanto essenza.
Esistono tanti modi per descrivere questo processo. Come dicevo, mi sono attenuto alla tradizione richiamandomi alle indicazioni dei più noti maestri di meditazione. Forse, per ragioni di sintesi, ho semplificato, ma tu puoi sempre approfondire ulteriormente. Esercitati solo se ne trai beneficio. Rammenta che il tutto si può riepilogare così: è sufficiente essere attenti!
Epilogo
Ti sembra meditazione? Dov’è finita l’enfasi retorica di un certo genere di melliflua spiritualità? Tendi la mano e sorridi … è tutto.