– Nome: Raffaele –
Quesito:
Caro autore o autrice avrei un problema e vorrei che tu mi aiutassi a risolverlo. Pratico arti marziali fin da piccolo, ma ormai lo sviluppo fisico, l’agonismo e la futile corsa ai riconoscimenti non mi soddisfa più e così ho cominciato a studiare ciò che è dietro la tecnica, il messaggio del maestro, il comportamento del guerriero il suo abito mentale.
Leggendo un saggio di Thomas Cleary sull’arte del vantaggio in Giappone ho capito che secondo autori Zen come Musashi, Yagyu Munenori, Takuan o Suzuki Shosan, la condizione mentale ideale del guerriero è quella del “pensiero normale”. In tale stato la mente non dovrebbe occuparsi di nulla, non dovrebbe soffermarsi a pensare niente, la fissità è malattia e va estirpata.
Pensiero normale significa concentrazione, significa abbracciare la realtà nel suo insieme appunto poiché non ci si fissa su un particolare. Se ci si ferma ad osservare una foglia si perde di vista l’albero intero, se ci si ferma a parare un colpo, il secondo ci colpirà sicuramente, se ci si fissa su qualcosa quindi, si perde di vista la realtà nel suo insieme.
Per raggiungere tale stato ci sono due vie: la prima si serve di tecniche di meditazione come concentrarsi sull’addome, la pratica della serietà, il controllo del respiro, o – seguendo il principio “chiodo schiaccia chiodo” – concentrarsi sul pensiero di svuotare la mente.
Questa prima via è detta inferiore e nociva perché è solo propedeutica e serve al raggiungimento dello stato mentale normale. Da sole queste pratiche sono dannose perché si basano sulla fissazione circa un preciso oggetto del pensiero.
La seconda via è quella migliore poiché giunge a liberare la mente dal morbo della fissità in questo modo: non avere preoccupazione di liberare la mente. In questo che è lo stato ultimo di consapevolezza, il guerriero agisce come un principiante, cioè istintivamente, senza pensare alle tecniche, secondo la concezione orientale di ciclicità per cui l’inizio è la fine e viceversa. Il fine di questa condizione mentale è abbracciare la realtà nel suo intero.
Fin qui è tutto chiaro perché il fine è quello che dici anche tu, ma come si rapporta questo discorso con la pratica? Come si pratica la seconda via? Per pochi secondi riesco a non pensare a nulla ma poi mi fermo a chiedere se ho raggiunto lo stato che volevo e quindi ricomincio a pensare di nuovo. Come posso impiegare tutte le mie energie a vigilare per tenere la mente libera? Per me vigilare implica pensare, come fare altrimenti? Come mi rendo consapevole del mio stato senza fissare la mente sull’analisi della mia condizione? Come faccio, senza pensare a nulla, ad essere concentrato e non imbambolato? Infine mi puoi spiegare secondo strutture logico-linguistiche occidentali che cosa è lo stato della “mente normale”?
Risposta:
Pensiero normale non significa concentrazione, ma attenzione. Non puoi svuotare la mente direttamente e/o intenzionalmente, ma solo per vie indirette. La “mente normale” è una mente attenta, consapevole. Non si tratta di uno stato da conseguire. E’ qualcosa che accade. Siccome pratichi arti marziali posso spiegartelo così: in genere i nostri riflessi sono piuttosto sopiti, ma durante un combattimento (la mia esperienza è relativa al Judo) è indispensabile una percezione globale della situazione. Ogni azione (o risposta) deve essere immediata e non pre-meditata. Un esempio classico. Se incontri un serpente sulla tua strada non puoi star lì fermo a pensare cosa fare, altrimenti sei finito, ma devi saltare immediatamente. Data l’emergenza il pensiero è “caduto” da se. Ma in una situazione ordinaria? Dove troveremo l’energia necessaria per questo tipo di attenzione? Jiddu Krishnamurti, che in effetti si rifaceva al Ch’an, precursore cinese dello Zen giapponese, parlava di passione. Dovremmo nutrire una passione tale, per la vita, da consentirci di percepire la realtà istante per istante. Tuttavia questo slancio accade solo ad una mente chiara, serena, non condizionata, ordinata, senza stress. Mi sembra che per un individuo “normale” sia davvero difficile.
Personalmente prediligo certe tecniche. Gli esercizi in questione non sono validi per chiunque. Ciascuno deve trovare il metodo che gli consente di star meglio: lucido, attento, consapevole, rilassato e intimamente soddisfatto. I benefici di un determinato esercizio non sono necessariamente immediati. Tutt’altro. Non serve cercare dei segni per riconoscerne il successo, accade. Come, perché? Sarebbe possibile spiegarlo in tanti modi, ma tu sai già che le teorie sono pessimi amici. Se ti piace pensa che la tecnica ti aiuterà ad esplorare la tua interiorità. Infatti ti consentirà comunque di essere più consapevole, meno diviso, certamente più indipendente. Considera la pratica come un seduta di allenamento. In passato ti sarai certamente reso conto come quell’apprendimento ti abbia influenzato complessivamente. Ebbene con la meditazione avverrà lo stesso, ma con il tempo, senza pretendere nulla, fermamente convinto che non si tratta di una cosa seria, ma di un gioco. Continua a praticare le tue arti marziali perché la meditazione non può assolutamente prescindere dall’esercizio fisico.
In questo sito sono stato volutamente dispersivo per indurre i visitatori a “cercare”. Sinora mi sono limitato a illustrare Anapana Sati Yoga, l’attenzione spontanea al flusso naturale del respiro. Con il tempo ne approfondirò via via l’esposizione che è incredibilmente estesa, ricca e rilevante.
Replica:
– Nome: Raffaele –
Caro Nick, sono il ragazzo che ti ha scritto un po’ di tempo fa chiedendoti consigli sulla meditazione, lo Zen e le arti marziali. Ti volevo ringraziare per la risposta. Ormai non ci speravo più; grazie. Con i tuoi chiarimenti adesso non sono più così confuso.
Kodo Sawaki dice che aspettarsi qualcosa dallo zazen equivale ad essere invischiati e trovarsi peggio di prima. Comunque desidero affiancare la pratica di cui mi hai parlato agli esercizi per il conseguimento del mushotoku, spirito del non profitto, e della coscienza hishiryo, fusione di intuizione e azione.
La prima si spiega come il giusto atteggiamento nei confronti della realtà. Concentrarsi sul presente lasciando stare ciò che è stato e ciò che sarà ha una valenza essenziale nel Judo. Durante le dimostrazioni vuol dire concentrarsi solo sulla tecnica avendo come fine la tecnica stessa non la proiezione; durante lo shiai, il combattimento, vuol dire eliminare dalla mente la paura di non riuscire (il passato) o l’ansia di riuscire (il futuro). Questo atteggiamento è essenziale per il raggiungimento della coscienza hishiryo: quando la mente è libera e concentrata, tra pensare e agire non intercorre alcun intervallo di tempo. Questa pratica è necessaria nel Judo, tuttavia non riesco a capire una frase, di un Maestro, Deshimaru. Egli afferma che con la coscienza hishiryo “nella presenza totale a se stessi, nella concentrazione senza limiti del corpo e dello spirito, nella pienezza assoluta del qui e dell’ora, il tempo dell’istante diventa eternità”.
Mi potresti spiegare come ci si concentra sullo spirito? Fin quando parla di presenza a se stessi, non ci sono problemi, quando dice concentrazione del corpo, bene o male ho capito ma mi puoi spiegare che significa concentrarsi sullo spirito?
Un ultima domanda: purtroppo la nostra lingua, o meglio le nostre lingue, sono povere di parole, e con spirito in Oriente si intendono le cose più disparate, in questo caso che significa esattamente? Anima, energia vitale?
Grazie ancora di tutto. Ciao.
Risposta
Ti rispondo subito. Innanzitutto, la meditazione non è concentrazione. Prima leggi qui: F.A.Q. (domanda n°7). Ora segui il ragionamento. Per quanto riguarda lo “spirito”, è vero: dapprincipio potrebbe, ma solo per ipotesi, essere inteso come “mente”. Tuttavia, in seguito, dopo un’attenta osservazione del problema, ci renderemo chiaramente conto di come la mente sia davvero lo spirito, la nostra interiorità. Per noi, semplici e occidentali è quasi impossibile una “concentrazione” così diretta, mirata, sullo “spirito”, sulla nostra interiorità. Forse accadeva in passato, ma solo nel caso di certi monaci-atleti che seguivano severe discipline o in circostanze analoghe. Una pratica meditativa come lo zazen produce il sentimento di una pace interiore granitica, la rivelazione del significato ultimo di amore e libertà. Solo allora si manifesta lo “spirito”, l’essere profondo. Solo allora si dissolve la tensione per l’acquisizione di profitti illeciti dalle proprie azioni. Tale processo viene percepito come un “ritorno a se stessi”, alle origini. A questo punto lo spirito non è più un’idea o una speranza. Siamo noi stessi. Meditare, pertanto, osservando il proprio corpo (la postura, il respiro), i pensieri, senza preoccuparsi dei risultati, affrontando coraggiosamente la sensazione di vuoto interiore che talvolta si palesa come un abisso senza fondo, ma che è effimera e sarà sostituita da pienezza e soddisfazione. Procedendo verso l’insondabile, l’inconoscibile, il mistero, ma che non è verità soprannaturale, bensì crepuscolo di una nuova alba. Quella della conoscenza, della discriminazione, della consapevolezza. Lo spirito è consapevolezza. Tuttavia fai attenzione, tutto questo non è zen, è solo teoria, E’ inutile lambiccarsi il cervello più di tanto. Hai parlato del qui e ora, vero? Nello zen concreto c’è una regola ancora più importante, ripetuta sovente dai maestri buddisti: principiare e perseverare.