Siamo certi che la paura sia sempre e comunque un fattore preminentemente negativo? Charlotte Joko Beck illustra come la via per comprendere che siamo già indipendenti passi proprio per il timore, l’angoscia, se non l’ansia di abbandonare le proprie aspettative – non vi è null’altro che il momento presente –. Liberarsi dalle situazioni immaginarie, quindi dagli attaccamenti, in particolar modo se opprimenti, è di per sé illuminazione…
«Siamo come uccellini implumi che nel nido attendono che mamma e papà vengano a imboccarli. Per gli uccellini va benissimo, anche se mamma e papà sono liberi di svolazzare tutto il giorno. A parole non ne invidiamo la situazione ma di fatto ci comportiamo allo stesso modo: apriamo la bocca e aspettiamo che la vita ci imbocchi di cose deliziose. “Voglio che vada così, voglio quello che voglio, voglio che la mia ragazza sia diversa, voglio che la mamma mi dia retta, voglio vivere dove voglio, voglio denaro, successo, eccetera eccetera”. La differenza è che gli uccellini non nascondono la loro fame, mentre noi sì.
Ho visto un documentario che riprendeva una mamma orsa mentre educa i piccoli. Insegna loro a cacciare, a pescare, ad arrampicarsi, e tutto ciò che i cuccioli devono imparare per la sopravvivenza. Un bel giorno, li fa salire tutti in cima a un albero e, cosa fa? Se ne va, senza neppure voltarsi. Come si saranno sentiti gli orsetti? Spaventatissimi, ma la strada alla libertà passa dalla paura.
Siamo come uccellini, come orsetti speranzosi di una mamma-vita a cui aggrapparci (preferibilmente in diciotto modi diversi, ma almeno in uno). Nessuno vuole lasciare il nido, perché fa paura. Ma la strada alla totale indipendenza, ovvero la comprensione che siamo già perfettamente indipendenti, passa e ripassa per la paura. Ci opponiamo alla libertà, lottiamo per non abbandonare il sogno per cui alla fine la vita sarà esattamente quella che volevamo, sarà un rifugio sicuro. Per questo la pratica è difficile. Lo zazen ci porta alla libertà di una vita sconfinata che, nella sua libertà, nel suo non attaccamento, è illuminazione, è essere la vita stessa.
I primi anni di pratica servono a vedere gli attaccamenti più grossolani; poi, a poco a poco, lavoriamo con gli attaccamenti meno evidenti, ma forse più velenosi. La pratica dura tutta la vita, non ha mai fine. Ma la pratica genuina ci fa comprendere la nostra libertà. Dopo due o tre mesi, l’orsetto lasciato a se stesso non sarà abile o forte come l’adulto, ma si comporta bene e si gode la vita più del cucciolo che seguiva tremante i passi della mamma.
Fare zazen (meditazione seduta) tutti i giorni è essenziale ma non basta. Siamo molto testardi e, per vedere tutti i nostri attaccamenti, abbiamo bisogno di periodi intensivi di seduta. Una lunga sesshin è un colpo ben assestato ai sogni e alle aspettative, che costituiscono le barriere all’illuminazione. Abbandonare le aspettative non è un atteggiamento pessimistico; non c’è niente da aspettarsi perché non c’è niente all’infuori del momento presente. Attendendoci qualcosa, siamo lacerati tra la situazione presente e la situazione immaginaria. Nessuna aspettativa (non attaccamento, lo stato illuminato) è una vita fortemente radicata ed equanime, in cui il pensiero e l’emozione sono genuini. Questa vita rappresenta il frutto della pratica, di beneficio per se stessi e per gli altri, degna dell’impegno e della pratica incessanti che richiede.»
(Da: Charlotte Joko Beck, “Zen quotidiano“)
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– https://en.wikipedia.org/wiki/Joko_Beck