Sri Aurobindo argomenta, sulla base delle dottrine a lui più congeniali, quelle di matrice induista, nonché in virtù della propria brillante visione dello Yoga, in merito alle molteplici definizioni che tratteggiano il panorama spirituale più intimo. La sua è, come accade sovente, una palingenesi del recondito, un inno alla vita che – con l’ausilio della meditazione – celebra il rinvenimento del gioiello introspettivo per eccellenza, il riverbero della consapevolezza …
Scende il silenzio e si accende la fiamma dell’aspirazione; un calore soffuso pervade il corpo e porta con sé un impulso di gioia verso la trasformazione; si ode il canto dell’armonia divina, calmo e sorridente; è una dolce sinfonia, appena udibile eppure colma di potere. Ritorna allora il silenzio, più profondo, più vasto, sì, vasto fino all’infinito, e l’essere esiste oltre i confini del tempo e dello spazio.
Sri Aurobindo dalle “Lettere sullo yoga”
«Ci sono due parole per esprimere il concetto indiano di dhyana: “meditazione” e “contemplazione”. Meditazione, a rigor di termini, vuol dire concentrazione della mente in un’unica sequenza di idee che elabora un soggetto unico. Contemplazione vuol dire considerare mentalmente un solo oggetto, immagine o idea in modo che la conoscenza dell’oggetto, immagine o idea possa sorgere naturalmente nella mente in virtù della concentrazione.
Entrambe sono forme di dhyana, perché il principio di dhyana è concentrazione mentale, nel pensiero, nella visione o nella conoscenza.
Vi sono altre forme di dhyana. C’è un passaggio nel quale Vivekananda consiglia di ritirarsi dai propri pensieri e di lasciarli scorrere nella mente a loro piacimento, semplicemente osservandoli e vedendoli per quello che sono. Questa può chiamarsi concentrazione nell’osservazione di sé.
Questa forma conduce ad un’altra: la mente è liberata da tutti i pensieri e lasciata in una specie di vuoto attento e puro dove la conoscenza divina può venire a fissarsi, imperturbata dai pensieri inferiori della mente umana comune e con la stessa chiarezza di una scritta in gesso bianco sulla lavagna. Nella Bhagavad Gita troverete come questo rifiuto di tutti i pensieri della mente sia uno dei metodi dello yoga, anzi addirittura il metodo che essa sembra prediligere. Può essere denominato dhyana della liberazione, poiché libera la mente dalla schiavitù del processo meccanico del pensiero, permettendole di pensare o di non pensare, come vuole e quando vuole, di scegliere i propri pensieri o di andare oltre il pensiero verso la percezione pura della Verità, chiamata nella nostra filosofia vijnana.
La meditazione è il procedimento più facile per la mente umana, ma il più limitato nei risultati; la contemplazione è più difficile, ma migliore; l’osservazione di sé e la liberazione dalla catena del pensiero è il più difficile di tutti, ma il più ampio nei risultati. Si può sceglierne uno seguendo la propria inclinazione e capacità. Il metodo perfetto sarebbe di impiegarli tutti, ognuno al momento opportuno e per il suo scopo specifico; ma questo comporterebbe una fede consolidata, una pazienza tenace e una grande forza di volontà nell’applicarsi allo yoga.
Non ci sono condizioni esterne essenziali, ma la solitudine e l’isolamento al momento della meditazione, come anche l’immobilità del corpo, sono utili al principiante, a volte quasi necessarie. Ma le condizioni esterne non dovrebbero essere vincolanti. Una volta che la consuetudine di meditare abbia preso forma, dovrebbe essere possibile praticarla in ogni condizione, supini o camminando, nella solitudine o in compagnia, nel silenzio o in mezzo ai rumori e così via.
La prima condizione interiore necessaria è la concentrazione della volontà contro gli ostacoli che si frappongono alla meditazione, come il vagare della mente, l’oblio, il sonno, l’irrequietezza fisica e nervosa, l’agitazione ecc.
La seconda è una purezza calma e crescente della coscienza interiore (citta), dalla quale sorgono pensiero ed emozione; cioè libertà da ogni reazione di disturbo, come rabbia, dolore, depressione, ansia per gli avvenimenti della vita ecc.»
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