Che cos’è questa pratica che chiamiamo «sedersi in meditazione?». Secondo questo insegnamento, «sedersi» vuol dire, dal punto di vista esteriore, non attivare i pensieri senza qualsivoglia ostacolo, in qualunque posto e in ogni circostanza. «Meditazione» vuol dire, dal punto di vista interiore, vedere con chiarezza la propria vera natura originaria e non confondersi. (Huineng)
La rana zen si sentiva confusa. S’informava regolarmente, seguiva con vivo interesse le innumerevoli vicissitudini del proprio paese, lo Stato delle rane. Un bel giorno, mentre passeggiava tra i vialetti e le aiuole fiorite dell’antico giardino presso cui si recava abitualmente per la consueta passeggiata meditativa, nella sua placida mente sorse, rapido come un flash, un dubbio peregrino. Com’era già accaduto in altre circostanze si rifugiò dal proprio precettore.
– “Maestro” – l’apostrofò senza indugio non appena fu ammessa al cospetto della fulgida e luminosa presenza – “recentemente ho sentito ripetere sovente che bisogna riflettere sugli ideali, sui valori umani e rispettarne i princìpi di vita. Comprendo e condivido, ma quali sono gli ideali, i valori e i princìpi delle rane?”
– Il maestro sollevò lo sguardo. Sembrava assorto, forse distratto o chissà, perfino annoiato. Ma si riprese subito e sorrise: “Non tutti gli esseri attribuiscono il medesimo significato alle parole. Le rane zen, che vivono negli stagni, ma pure sui colli, non hanno bisogno di una filosofia di vita che predichi la virtù, perché, in effetti, sono già rettitudine.
Esse hanno un solo ideale, un unico principio che consiste in un esercizio senza valore alcuno, lo zazen. Un esercizio che non serve a nulla.
Questo esercizio è come la vita. Più lo pratichi e meno lo comprendi. Quindi rammenta: il tuo ideale sarà, comunque, riuscire a praticare alla perfezione lo zazen che non serve a nulla. Non è affatto semplice. Tutti avranno la tentazione di attribuirgli virtù mirabolanti e invece le sue qualità di maggior rilievo, te lo ripeto, sono proprio l’inefficacia e l’inadeguatezza.”
La rana zen lo fissò sbalordita.
– “Amica, diletta” – proseguì l’anziano mentore – “tu agisci ancora in funzione del successo. Dov’è la tua compassione? Ci vuole un grande coraggio per vivere senza gli ideali altrui, quelli dei tuoi vicini, dei moralisti, dei benpensanti. D’altra parte, nella mia pur lunga vita non conobbi mai un eroe che predicasse l’eroismo … Nel momento stesso in cui rinuncerai alle opinioni ed ai convincimenti degli altri allora sarai soccorsa e sostenuta da certezze e verità. Allorquando ci sarà spazio e quiete a sufficienza la certezza ti raggiungerà dovunque, giacché essa è l’unica alternativa possibile.
Che cosa cerchi in effetti, l’illuminazione spirituale? Ma lo sai che non esiste? Non è proprio nulla! Oppure è come quell’incredibile e clamoroso silenzio che riesci a percepire nel bel mezzo dei tuoi tumultuosi e affollati convegni serali durante cui il tramestio e il gracidio delle tue care sorelle superano finanche i decibel della pazienza.”
La povera rana zen osservò dal basso in alto il proprio disinvolto maestro e andò via ancora più confusa di quanto non lo fosse già prima di avergli dato, con tanto scrupoloso e deferente riguardo, ascolto, considerazione, rispetto.