Non si può trovare la natura di Buddha con la vivisezione. La realtà non può essere afferrata dalla mente discorsiva o senziente. Osservare di momento in momento il respiro, osservare la postura è la vera natura. Non ci sono altri segreti oltre a questo. (Shunryu Suzuki Roshi – Mente Zen, mente di principiante)
Sia che venga intesa come un processo di comprensione graduale, che come accadimento repentino, la meditazione non può essere definita agevolmente. Se ne possono, tuttavia, evidenziare accezioni e corrispondenze.
Corrispondenze
Vi riassumo in sintesi, cortesi visitatori, il significato di meditare: essere attenti, consapevoli, e quindi non illudersi, non prefigurarsi realtà che non esistono, non proiettare i nostri desideri o ambizioni sugli oggetti e sulle persone che ci circondano.
Meditare significa ri-entrare in contatto con la nostra natura essenziale, che siamo noi, e non qualcosa di diverso, alieno. L’incontro con questa nuova ed entusiasmante realtà ci predispone automaticamente, cioè senza sforzo, a nuovi tipi di rapporti sociali e culturali, basati sulla tolleranza e sul rispetto reciproco.
Bene, ma come realizzare tutto ciò? Se fosse stato facile vivremmo già in una specie di Eden reale. Invece sussistono alcune difficoltà che dipendono dai condizionamenti ricevuti, sin da fanciulli, dalla società nel suo complesso. Fate bene attenzione, perché non si tratta di colpevolizzare nessuno.
Le tecniche per meditare non sono la meditazione, cioè non bisogna confonderle con quello stato meditativo che si consegue quando una certa tecnica ha successo. Le tecniche sono artifici, modesti trucchi per indurci a dirigere di tanto in tanto la nostra attenzione verso noi stessi, in modo da poter esplorare il proprio, personale ed esclusivo, mondo interiore.
Tuttavia, sarà bene precisarlo, la meditazione non è introspezione. Infatti, in ultima analisi la tecnica meditativa diventa “osservazione”.
In un primo frangente, durante l’esercizio dell’ osservazione si distinguerà necessariamente tra l’osservatore, ovvero colui che osserva (il meditante) e l’oggetto osservato (ad esempio il flusso del respiro). Successivamente, con il procedere dell’esercizio (quando l’attenzione si protrae al di là della mera identificazione) o, come dicono i buddisti, dell’assorbimento (della concentrazione), osservatore ed oggetto osservato smetteranno di esistere l’uno indipendentemente dall’altro. Si creerà una sintesi completa e armoniosa. Si avrà dapprima la netta sensazione di una perfetta sincronia tra i due (corpo-mente e respiro). Successivamente, solleciti nel favorire una disposizione d’animo umile e ricettiva, interverrà un nuovo modo di essere che potremmo spiegare o indicare solo con alcune metafore: colui che agisce senza agire, senza originare reazioni illusorie, lungo un sentiero privo di tracciato, senza inizio, ma nemmeno fine.
Al contrario di quel che ci si attenderebbe si percepirà una sensazione di distacco, ma solo in termini relativi. Cioè contrapposta alla usuale e stressante adesione emotiva causata da una impropria identificazione. In realtà sarebbe meglio descriverla come una sensazione di unione ad un livello partecipativo differente e qualitativamente più elevato, di compassione e coerenza. Si farà strada la consapevolezza che noi in realtà non siamo limitati a quel piccolo io, egoista perché spaventato, e sovente persino litigioso. Al contrario, nel cogliere il senso più profondo e illimitato della realtà, riusciremo finalmente a concepire nuove parvenze, minuscoli frammenti di verità.