Ciascuno è maestro di se stesso? Ottima domanda. Ora formulo un’ipotesi. Ciò non toglie che, in seguito, potrei anche cambiare idea. Si, fondamentalmente ciascuno è maestro di “se stesso”. Sennonché è davvero raro che qualcheduno conosca realmente “se stesso”. Al massimo ne abbiamo delle vaghe intuizioni che solo l’insight meditativo potrebbe, col tempo, o in un lampo, chiarirci.
Quelli che, in genere, consideriamo come maestri, come fari, che riteniamo facitori di eccelse quanto fantomatiche virtù pseudo-aliene – o alienanti? – potrebbero, al massimo, fungere da catalizzatori. Soggetti alla cui presenza – se solo collaborassimo astenendoci dall’immaginare alcunché – potrebbero verificarsi provvidenziali picchi di consapevolezza. Persino il Buddha Shakyamuni non si ritenne giammai un maestro, ma un individuo che favoriva viepiù la “presenza”. Il suo insegnamento era, per l’appunto, la sua stessa presenza. I discepoli del tempo non lo ascoltavano per ricevere una dottrina infallibile. La quiete, la pace, la tranquillità intrinseca che un autentico insegnante trasmette sono il vero tesoro, la pietra filosofale che può aiutarci a trasmutare il proprio carattere, le peculiarità più recondite della personalità fino a sfiorare i picchi della realizzazione interiore. Là dove alto e basso si coniugano e sostengono a vicenda per “compiere il miracolo della cosa unica”. In ultima istanza i maestri sono degli spazzacamini della coscienza che provano a ripulire la mente dalle innumerevoli scorie stratificate costituite da false opinioni, pregiudizi, assurde quanto deleterie credenze. Loro si prodigano e, come accadde sempre sin dalla notte dei tempi, noi tentiamo, in tutti i modi di ostacolarli.