Daniel Goleman illustra egregiamente i capisaldi della meditazione denominata Samatha. Anche se le osservazioni iniziali possono apparire superflue, mi riferisco alle raccomandazioni sull’approccio etico, gli schematici suggerimenti successivi sono fondamentali. Le istruzioni, nella loro praticità, rappresentano sia un buon punto di partenza per i neofiti che, nel contempo, un utile riepilogo per i più esperti. Sebbene la suddivisione tra i diversi stati della mente che si conseguono via via lungo siffatto cammino concentrativo possa apparire eccessivamente schematica, considerate che si tratta pur sempre di una mappa estemporanea, la topologia spirituale non ha, in realtà, veri confini. Il solo scopo è, in effetti, quello di favorire l’orientamento senza perdersi nei meandri estatici della trascendenza tout court.
Meditazione di concentrazione mutuata nel Buddhismo dalla radice Indù. Obiettivo della pratica è il conseguimento di uno stato di pacificazione interiore propedeutico o meno ad una successiva pratica di investigazione, Vipassana.
«Uno dei testi antichi fondamentali per ogni meditante è il Visuddhimagga [Via della purezza] scritto nel V secolo a. C. dal monaco Buddhaghosa. In esso, all’inizio, si trovano una serie di consigli sull’atteggiamento personale e sul contesto ambientale migliori per la meditazione. In seguito sono descritti i mezzi specifici usati dal meditante per orientare la sua attenzione e le tappe che egli affronterà percorrendo la via della meditazione.
La pratica inizia con Sila [virtù], l’esercizio sistematico della rettitudine del pensiero, della parola e dell’azione. L’allontanamento del retto pensare, per esempio pensieri aggressivi o fantasie sessuali, distraggono dalla meditazione.
La purificazione psicologica richiede l’allontanamento di tutti i pensieri che distraggono.
Nel Visuddhimagga la purificazione attiva inizia con l’osservanza delle regole di disciplina per i laici, i novizi ed i monaci ordinati. I precetti per i laici sono cinque: non uccidere, non rubare, non avere rapporti sessuali illeciti, non mentire, non far uso di sostanze tossiche.
Per i novizi la lista si allunga a dieci, con i primi cinque da osservare in modo molto rigoroso.
Per i monaci ci sono infine 227 proibizioni e obblighi, che regolano in tutti i dettagli la vita quotidiana, il Patimokka.
Nelle fasi iniziali, prima di aver consolidato le basi dell’attenzione, il meditante è distratto dall’ambiente.
Quindi la purezza costituisce la base psicologica per la concentrazione. L’essenza della concentrazione è il non essere distratti, quindi il compito del meditante è di focalizzare la mente su una cosa sola.
Qualsiasi oggetto di attenzione può essere soggetto per la meditazione concentrativa, il carattere dell’oggetto a cui si presta attenzione ha però conseguenze precise sul risultato della meditazione.
Il Visuddhimagga raccomanda 40 oggetti di meditazione:
– 10 Kasinas [elementi di meditazione sui quali si basa e si fissa la concentrazione mentale]: ruote colorate della circonferenza di circa 30 cm: terra, acqua, fuoco, aria, blu scuro, giallo, rosso sangue, bianco, luce, spazio delimitato.
– 10 asubhas [sporcizia, sozzurra, decadenza corporea]: cadaveri putridi e in decomposizione;
– 10 riflessioni: sugli attributi del Buddha, la Dottrina, il sangha, la pace, la propria purezza, la propria liberalità, il possesso di qualità divine o l’inevitabilità della morte: contemplazioni delle 32 parti del corpo o sulle fasi della respirazione.
– 4 stati sublimi: amore universale, compassione, il gioire della felicità altrui, l’imperturbabilità.
– 4 contemplazioni senza forma: lo spazio infinito, l’infinita coscienza, il regno del nulla, il regno della ‘né percezione né non percezione’; la ripugnanza verso il cibo.
– 4 forme materiali: terra, aria, fuoco, acqua come forze astratte (es. estensione, moto, calore, coesione).
Stato d’accesso
Nelle prime fasi della meditazione vi è una certa tensione fra la concentrazione sull’oggetto di meditazione e i pensieri distraenti. Le principali distrazioni sono: malevolenza, disperazione, ira; svogliatezza e torpore; ansia e preoccupazione; dubbi e scetticismo.
Dopo molte esercitazioni, arriva un momento in cui questi ostacoli vengono completamente padroneggiati. A questo segue un notevole aumento della concentrazione. A questo punto, gli attributi mentali, come la beatitudine e la focalizzazione, che col tempo diverranno assorbimento totale, divengono simultaneamente dominanti, finora ciascun attributo è stato presente in gradi diversi, ma quando divengono compresenti essi hanno un potere speciale: questo è il primo risultato importante della meditazione concentrativa, perché è lo stato immediatamente precedente l’assorbimento totale e viene chiamato concentrazione di “accesso”.
I fattori mentali, legati al pieno assorbimento non sono molto forti a livello dell’accesso; emergono in modo precario e la mente fluttua fra questi e il dialogo interno, l’abituale ruminazione mentale e il pensiero che vaga. Il meditante è comunque consapevole delle proprie sensazioni corporee, dei propri sentimenti e degli stimoli ambientali. L’oggetto della meditazione costituisce il pensiero dominante, ma non ancora la totalità del pensiero.
Al livello dell’accesso emergono fatti e sentimenti energizzanti e coinvolgenti, insieme a felicità, piacere e imperturbabilità. Qualche volta appaiono forme luminose o lampi di luce intensa, particolarmente se l’oggetto della meditazione è costituito da un kasina, o dalla respirazione, si può sperimentare una sensazione di leggerezza come se il corpo stesse fluttuando nell’aria.
Una volta giunti alla soglia dello stato di accesso, sarà possibile avere delle visioni dovute a un profondo coinvolgimento accompagnato sia dal permanere del pensiero discorsivo sia dalla debole focalizzazione dell’oggetto della meditazione. Queste visioni possono essere terrificanti oppure benigne come visioni di un dio benevolo o del Buddha.
La meta della meditazione va ben al di là delle visioni. Nello Zen, si dice: “se incontri il Buddha uccidilo.”
Primo jhana
Focalizzando continuamente l’oggetto della meditazione arriva il momento della frattura totale con lo stato di coscienza ordinario. Questo è l’assorbimento totale o jhana. Di colpo la mente sembra sprofondarsi nell’oggetto, identificandosi totalmente in esso, pensieri disturbanti spariscono completamente, non vi sono né percezione sensoriale, né la consueta consapevolezza del proprio corpo, il dolore non può essere percepito. La coscienza è dominata dal coinvolgimento, dall’estasi e dalla focalizzazione. Questi sono i fattori che, verificandosi in simultanea ascesa costituiscono i jhana.
La prima esperienza di jhana è solo di un attimo, ma con un impegno costante essa viene mantenuta sempre più a lungo. Fino a quando non si acquista il pieno possesso del jhana esso rimarrà instabile e sfuggirà facilmente. La piena maestria si ottiene quando il meditante può giungere allo stato di jhana comunque, dovunque e per tutto il tempo desiderato.
Secondo jhana
Nel corso della meditazione la focalizzazione si intensifica sempre più con la progressiva eliminazione dei fattori jhanici.
Quando si emerge dallo stato jhanico questi processi di attenzione sembrano grossolani se paragonati ad altri più sottili fattori di questo stato.
Per andare al di là di queste forme di attenzione, il meditante entra nel primo jhana focalizzandosi sull’oggetto primario. In seguito libera la mente da ogni oggetto volgendola al rapimento estatico, alla beatitudine, alla focalizzazione. Questo livello di assorbimento è ben più sottile e stabile del primo.
Terzo jhana
Per scendere ad uno stato più profondo si deve padroneggiare il secondo jhana come si è fatto per il primo. In seguito, emergendo dal secondo jhana si comprende che il rapimento, in uno stato di eccitazione, è ancora grossolano se paragonato alla beatitudine e alla focalizzazione.
A questo terzo livello si considera con imperturbabilità il rapimento più elevato. Questo equilibrio mentale emerge con lo svanire del rapimento estatico. Il terzo jhana è estremamente sottile e la mente del meditante, senza questa nuova imperturbabilità emergente, regredirà verso il rapimento estatico. Restando in questo terzo jhana il meditante è pervaso mentalmente e fisicamente da una dolcissima beatitudine. Padroneggiando il terzo jhana come quelli precedenti, il meditante potrà procedere ancora se ritiene che la beatitudine sia più disturbante della focalizzazione e della imperturbabilità.
Quarto jhana
Per inoltrarsi ancor più profondamente sulla meditazione si dovrà abbandonare ogni forma mentale rinunciando a tutti quegli stadi, beatitudine e rapimento compresi, che potrebbero opporsi a una pace totale. Quando la beatitudine svanisce del tutto, l’imperturbabilità e la focalizzazione raggiungono il pieno della loro forza. Nel quarto jhana si abbandona ogni sensazione del piacere corporeo; le sensazioni dolorose sono già cessate nel primo jhana. Non vi è né pensiero né sensazione. In questo stato estremamente sottile la mente del meditante permane focalizzata e imperturbabile. Come la mente si acquieta progressivamente sempre più ad ogni livello di assorbimento, così anche il respiro si calma. Al quarto livello il respiro del meditante è così tranquillo che egli non percepisce il minimo movimento e avverte il suo respiro come se fosse cessato del tutto.
Jhana senza forma
Il successivo passo nella concentrazione culmina nei quattro stati chiamati “senza forma”. Mentre i primi quattro jhana si raggiungevano concentrandosi sulla forma materiale o su un concetto derivato da questo, gli stati senza forma si raggiungono superando ogni percezione di forma. Per aver accesso ai primi quattro jhana si doveva svuotare la mente di ogni contenuto intellettuale. Per procedere nei successivi jhana senza forma si deve operare una sostituzione progressiva con oggetti di concentrazione via via più astratti.
Il meditante accede al primo assorbimento senza forma o quinto jhana entrando nel quarto jhana attraverso la meditazione su una qualsiasi delle kasina. Allargando i confini della kasina fino ai limiti dell’immaginabile, la sua attenzione inizialmente rivolta alla luce colorata emanata dalla kasina, si sposterà sullo spazio che questa luce occupa. Lo spazio infinito diviene così oggetto della contemplazione e con il pieno fiorire della focalizzazione e dell’imperturbabilità, la mente del meditante si trova ora in una sfera in cui ogni percezione di forma svanisce. La mente è così totalmente fissata in questa coscienza sublime, che nulla può turbarla.
Una volta conquistato il quinto jhana si potrà proseguire raggiungendo prima la consapevolezza dello spazio infinito e volgendo poi l’attenzione a questa infinita consapevolezza. In questo modo si abbandona il pensiero dello spazio infinito, conservando quello della consapevolezza infinita senza oggetto. Questo stato è tipico del sesto jhana.
Dopo aver padroneggiato il sesto jhana il meditante passa al settimo entrando nel sesto e volgendo poi la sua consapevolezza all’inesistenza della coscienza infinita, tipico del settimo jhana.
Una volta padroneggiato il settimo jhana il meditante può riesaminarlo e trovare svantaggioso qualsiasi genere di percezione, essendo più sublime l’assenza di percezione. Il meditante così motivato raggiunge l’ottavo jhana, entrando dapprima nel settimo.
A questo punto l’attenzione si sposterà dalla percezione del vuoto alla pace.
Raggiungendo la pace egli raggiunge lo stato “ultrasottile”, in cui ci sono solo processi mentali residui. Non esistendo più la percezione in senso stretto, questo è uno stato di “non-percezione”.
L’ottavo jhana viene pertanto definito la “sfera della non-percezione” e dell’assenza della non-percezione.»
(Da: Daniel Goleman, Esperienze orientali di meditazione)