In un viaggio attraverso la saggezza millenaria, ci imbattiamo nella legge del karma, un principio fondamentale dell’insegnamento buddista che illumina il cammino della vita, rivelando come ogni nostra azione sia l’architetto del nostro destino. Questa ‘luce del mondo’ ci guida verso la comprensione che la felicità e la realizzazione spirituale sono il frutto di motivazioni pure e intenzioni nobili. Il Buddha, con la sua profonda conoscenza, ci insegna che la chiave per sbloccare le porte della serenità risiede nella consapevolezza delle nostre motivazioni, nel coraggio di esplorare gli angoli più reconditi del cuore e nella capacità di trasformare gli schemi mentali inadatti. In questo percorso di autocoscienza, scopriamo che la vera saggezza non è solo comprendere il karma, ma anche agire con una motivazione che sia come una stella polare, guidandoci verso la liberazione e l’illuminazione.
«Ogni nostro atto produce un effetto, tutte le nostre azioni hanno una conseguenza. Nell’insegnamento del Buddha si chiama legge del karma, la consapevolezza di essere eredi delle azioni compiute. Vi si fa riferimento chiamandola la ‘luce del mondo’, perché essa illumina lo svolgersi della vita e spiega la ragione per cui molte cose sono così come sono. La comprensione del karma è la chiave per comprendere la felicità.
Per spiegarlo con parole semplici, le azioni producono risultati. Non sempre si possiede la saggezza per capire o prevedere correttamente i risultati, oppure si riesce ad averne soltanto una visione parziale, ma è tale constatazione, comune a tutti, a ispirare all’azione. Ci aspettiamo che le nostre azioni producano risultati, che si tratti di un guadagno di natura terrena o dell’acquisizione di una maggiore saggezza o compassione.
Il Buddha fece un sostanziale passo avanti nel chiarimento del processo di azione e relativo risultato. La possibilità di raggiungere la felicità e, di fatto, di percorrere il sentiero spirituale, si basa sulla constatazione che ciò che più esaurientemente determina il risultato di ogni azione è la motivazione che la spinge. Gli insegnamenti tibetani esprimono con poche parole tale concetto: tutto poggia sulla punta della motivazione.
Non è difficile osservare tale principio in azione. C’è differenza, sia per le sensazioni provate sia per l’effetto prodotto, tra le azioni motivate dall’avidità o dall’invidia e quelle motivate dalla generosità e dall’amore, anche quando esternamente l’azione è la stessa. Si può donare qualcosa a qualcuno per un autentico sentimento d’amore, o perché si desidera piacergli, oppure per far bella figura agli occhi degli altri. Le conseguenze apportate da ciascuna motivazione saranno diverse sia nell’immediato sia col passar del tempo.
Data la primaria importanza delle motivazioni nel determinare i risultati delle nostre azioni, è essenziale conoscerle realmente. Non è facile. Per scrutare nel proprio cuore c’è bisogno di un coraggio, di un’onestà e di una disponibilità eccezionali. Se si è inconsapevoli, ci si limita a riproporre tutti i comportamenti abituali derivati dal condizionamento. Senza sapere quali sono le motivazioni, ci sono scarse possibilità di lasciar andare quelle inadatte o di sviluppare la saggezza autentica. Secondo un insegnamento, se avessimo la possibilità di scegliere, recandoci una mattina a colazione, tra una notevole somma di denaro e la presenza di qualcuno che sapesse indicarci, con assoluta precisione, tutti i nostri difetti, la scelta di quest’ultima opzione si rivelerebbe molto più preziosa per noi. Tale è il vantaggio che procura la conoscenza di se stessi. E tuttavia, quanti farebbero una simile scelta?
A lungo, nel corso della mia pratica meditativa, ho provato imbarazzo e vergogna quando scorgevo, nella mia mente, stati moralmente dannosi quali orgoglio o invidia, malevolenza o egoismo; e invece di esaminarli e fare di tutto per liberarmene, mi giudicavo e vi sprofondavo sempre di più. Oppure mi sentivo criticato e infelice quando gli insegnanti o altre persone mi sottolineavano la presenza di quegli stati mentali. Ma, dopo anni di pratica, sono arrivato al punto di provare gratitudine quando osservo l’insorgere di quegli schemi inadatti, perché ora preferisco vederli piuttosto che non vederli. L’opportunità di osservare l’insorgenza di quegli schemi diventa un’altra possibilità di sganciarsi da essi, di scorgerne la sostanziale trasparenza, e di lasciar andare il peso che arrecano.
Padmasambhava, il grande iniziato che portò il buddhismo nel Tibet, diede risalto alla comprensione del karma e del potere della motivazione quando disse: “Benché la mia visione sia vasta come il cielo, la mia attenzione alla legge del karma è minuta come un chicco d’orzo”. La visione del dharma può essere vasta, ma è necessario che si fondi su un’attenzione sapiente alle azioni che si compiono.»
(Da: Un solo dharma. Il crogiolo del nuovo buddhismo – Joseph Goldstein)
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