Quanto tempo è trascorso da quando riflettevo – forse un po’ troppo candidamente – sulla guerra e – più in generale – sulla violenza? Era ancora il 2001. A parziale discolpa della mia ingenuità c’è solo il fatto che queste considerazioni furono influenzate da circostanze di cronaca. Ad ogni modo, dopo le prime note c’è pure la sintesi di un breve racconto di G. I. Gurdjieff.
Le guerre – la violenza – non sono mai indispensabili. Essere contro la guerra non significa affatto assumere posizioni politiche. Chi sostiene il contrario mente ed esercita un condizionamento ideologico, un raggiro strumentale.
Ogni giorno, nel mondo, muoiono di fame migliaia e migliaia di persone. Il minimo che potremmo fare per debellare subito, e non tra un numero assurdo ed indefinito di morti e di anni, l’ignominiosa tragedia, sarebbe il tentativo di trovare qualche rimedio.
Quali sono i motivi secondo cui i violenti fautori della guerra ne sostengono l’ineluttabile necessità?
Gli eventi che riguardano gli stati possono essere due: attaccare o essere attaccati.
Per quanto riguarda la prima possibilità è chiaro che essa sarebbe relativamente comprensibile solo se dovesse prevenire situazioni di pericolo reale.
Nel secondo caso, quello in cui un popolo fosse oggetto di aggressioni esterne, la reazione militare dovrebbe essere l’ultima alternativa. Sarebbe giusto che le autorità di quello stato si chiedessero: i nostri comportamenti sono stati rispettosi delle altrui esigenze di giustizia e libertà?
Quando parliamo di giustizia e libertà ci riferiamo ai governi eletti democraticamente. Altrimenti, nel caso di regimi totalitari, intendiamo i popoli.
E’ importante capire che oggigiorno i governi con tendenze totalitarie, egemoniche, non sono esattamente come quelli di un tempo. Essi si servono in modo indiscriminato dei mezzi di comunicazione di massa per manipolare o controllare scientificamente le reazioni individuali.
Ecco la sintesi di un breve e significativo aneddoto che G. I. Gurdjieff (1869-1949) raccontò al proprio discepolo Oupensky:
Un mago piuttosto facoltoso possedeva un gregge composto da tantissime pecore. Tuttavia la sua avarizia era tale da impedirgli di ingaggiare pastori e costruire uno steccato per delimitare il pascolo. Le pecore, coscienti del fatto che prima o poi il mago ne avrebbe reclamato la pelle e le ossa non perdevano occasione per dileguarsi nella foresta limitrofa. Dopo qualche tentennamento il mago escogitò un espediente. Ipnotizzò le pecore e disse loro: siete immortali, non vi accadrà mai nulla di male, nel momento stesso in cui vi faranno la pelle proverete senz’altro piacere. Affermò pure di essere un buon maestro, così amorevole da sentirsi disposto a tutto pur di renderle felici. Le suggestionò ancora dichiarando: qualunque disgrazia dovesse accadervi in futuro non capiterà certamente oggi, quindi non pensateci. Infine il mago divise le pecore in gruppi. A ciascuno suggerì una verità differente: di essere leoni, aquile, uomini e persino maghi. Finalmente ogni sua preoccupazione ebbe termine. Le pecore non disertarono, non si rifugiarono più nel bosco. Attesero tranquillamente il momento conclusivo dell’assurda vicenda, il giorno della loro morte.
Le conclusioni di questo discorso sono: tristezza. Per le vittime innocenti delle bombe salvifiche. Per la gente che non si rende conto di essere stata suggestionata, ipnotizzata, confusa, raggirata dalla propaganda reazionaria. Per i popoli che subiscono lo sfruttamento di governi corrotti e sostenuti da forze sovversive, dedite esclusivamente alla realizzazione dei più alti profitti possibili.
La guerra è il riflesso esterno di un conflitto interiore difficile da superare. Affermarlo non significa dichiarare che la pace è un miraggio. La consapevolezza che l’universo spirituale e il mondo fisico sono tutt’uno è il primo passo verso la concordia, l’armonia. L’apparente differenza tra l’eternità e la transitorietà della vita dipende solo dalla prospettiva secondo cui si osserva il fenomeno.
Per realizzare la pace sono necessari sia l’emancipazione individuale che quella collettiva, la conoscenza della propria natura essenziale come l’attuazione di una giustizia etica.
La pace non è assenza di guerra, non è un risultato, non è una conquista. Al contrario, essa è la conseguenza naturale dell’amore e della compassione reciproca.
Privilegiare lo sviluppo sostenibile. Sostenere le ragioni che uniscono e avversare quelle che dividono. Consentire la riconciliazione, culturale ed economica, del nord al sud del mondo. Tutto ciò potrebbe attenuare gli esiti sfavorevoli dell’attuale disastrosa congiuntura.
Noi non siamo a favore della guerra, ma nemmeno contro. Semplicemente oltre. Oltre l’oceano dell’indigenza e del rammarico. Al di là dell’odio e dell’egoismo, della convinzione di essere buoni, caritatevoli e nel giusto, dalla parte del bene.
Grazie per la cortese attenzione.