L’intera nostra esperienza del reale è modulata da una facoltà percettiva che usiamo costantemente, spesso senza piena avvertenza della sua duplice natura. Esiste uno sguardo che si proietta all’esterno, un’apertura al mondo che accoglie forme, colori e movimenti, permettendoci di interagire con la realtà manifesta. Ma esiste anche una visione interiore, un occhio sottile che si volge all’interno, ritirandosi in un santuario silenzioso dove è possibile contemplare l’essenza delle cose. È in questo spazio sacro che la pratica della meditazione trova il suo più autentico significato, invitandoci a distogliere l’attenzione dal frastuono esteriore per posarla sul flusso delicato del respiro. Seguendo questa traccia sottile, veniamo guidati dolcemente verso il nostro centro, quel punto di immobilità e lucidità che dimora impassibile nel cuore del ciclone della vita, un fulcro di pura consapevolezza da cui è possibile osservare ogni cosa senza filtri e senza remore.
L’occhio è la misura di tutto. Ma cos’è davvero l’occhio? Osservare, immaginare, concepire e non ultimo credere. Aprirsi al mondo, così come ritirarsi nel proprio eremo eterico. Volgersi fuori, il che equivale ad accogliere. Percepire dentro, che corrisponde a leggere tra le righe del silenzio, a contemplare l’essere, a meditare. Ma ora soffermati sul riflesso del tuo respiro più intimo fintantoché non ne sarai pienamente edotto e consapevole. Seguilo dappresso senza perderne traccia. Quello sei tu, l’essenza, il centro, l’occhio – del ciclone vita – che si fa terzo per aiutarti a rinascere.
L’occhio
Occhi che guardano,
occhi che osservano,
così direttamente
senza né filtri, né remore,
occhi che ammirano
così schietti o persino o finanche, fai tu …
che sono fermo a contemplare l’essere,
no, il non-essere; no, una via di mezzo,
decisamente no, è indefinibile.
Ma di occhi, in realtà, ce n’è solo uno
che se si spinge a esplorar l’inverosimile
se ne ritorna indietro così (ricco)
che la ricchezza (ironia)
sembra quasi un dettaglio.
Epilogo
Al termine di questo viaggio, che muove dallo sguardo esteriore per giungere alla contemplazione interiore, si palesa una verità fondamentale: l’organo della visione spirituale è unico e indiviso. Quando questo “occhio” dell’anima si avventura nell’esplorazione di reami che la logica ordinaria giudicherebbe inverosimili, non ritorna carico di nozioni o immagini, ma arricchito di una qualità dell’essere così profonda da rendere insignificante ogni altra forma di abbondanza. La vera ricchezza, suggerisce questa intuizione, non è un’acquisizione ma uno stato di pienezza che si rivela quando smettiamo di guardare e iniziamo a vedere. In quella visione schietta e diretta, dove il definibile e l’indefinibile si sfiorano, si coglie una comprensione che trascende le parole. È l’esperienza di un ritorno a casa, in quel centro di quiete dove la percezione di sé diventa così totale da sembrare, al confronto, un dettaglio di poco conto.