«Quando andavo a scuola, mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi “felice”. Mi dissero che non avevo capito il compito e io dissi loro che non avevano capito la vita» (John Lennon)
La felicità non è un concetto esistenziale, non è un’astrazione, ma un’evenienza reale. Se vuoi esser felice devi, innanzitutto, renderti conto che non siamo monadi, isole separate le une dalle altre. Non solo, mentre la nostra realtà è soprattutto l’interdipendenza, il mare che s’interpone dovrebbe esser considerato, per prima cosa, uno spazio di condivisione. Il mare rappresenta altresì la superficie esterna, la parte più periferica dell’ego, ciò che dovremmo conoscere, beninteso esperire, ma poi superare. Coloro che si aggrappano alle apparenze soltanto sono destinati, inevitabilmente, a soffrire.
La meditazione è la religione della felicità perché è la metodologia più concreta per superare le proprie idiosincrasie, gli appigli e immergersi nel silenzio che rigenera, nella quiete che dischiude il cancello della piccola mente sovraffollata dall’andirivieni dei pensieri volubili e capricciosi. Se sei abbastanza coraggioso da dedicare pochi minuti del tuo tempo a coltivare ciò che non può essere coltivato, a tentare di comprendere ciò che non può essere nemmeno afferrato, a metter da parte, cioè, l’immancabile cicalio dei pensieri comincerai a scoprire ambiti che la società e la cultura nel loro complesso hanno purtroppo dimenticato.