Quante volte ti sei sentito solo? Suppongo numerose, per lo meno è ciò che accade alla maggior parte di noi, comuni esseri senzienti alla ricerca dell’impossibile. Ebbene, come lo hai risolto? Ossia, in che modo hai appianato il relativo disagio? Ti sei arreso alle circostanze attendendo, all’incirca passivamente, che le sensazioni causate da quel determinato stato d’animo si esaurissero da sé … hai reagito cercando di comprendere donde quella pletora di percezioni provenisse … hai provato a riempire il tuo vuoto impegnandoti in questa o quella mansione, fingendo altresì che la tua nuova occupazione fosse davvero essenziale … gli escamotage cui si potrebbe ricorrere per negare l’evidenza che il tuo centro di coscienza si è pressoché – ovviamente solo in via temporanea – all’incirca dissolto, sono innumerevoli. Sicché, per tentar di poggiare ancora la tua fervida e rispettosa coscienza sull’alveo del noto provi a immaginare di tutto, ad esempio che sei insoddisfatto di quanto ti circonda, che non ci sia più nessuno che ti corrisponda affettuosamente o quant’altro, finanche che hai lavorato troppo. Nulla di più fantasioso, l’iperbole della tua consapevolezza si riflette nel nulla. Si, l’immaginazione fa proprio cilecca.
Ok, bando alle ciance, tagliamo corto o corro il rischio di annoiarti, la solitudine non esiste – nel senso che non dipende, sempre e comunque, dalla presenza altrui – e quella sensazione di assurdo e proverbiale imbarazzo è solo mancanza di centratura, non sei più, per lo meno lì per lì, ossia nel frangente in questione, a contatto con il tuo vero sé, o non-sé, fai un po’ tu, definiscilo come meglio ti aggrada, cerca tra le pieghe più riposte dell’inverosimile la definizione che più ti soddisfa.
Ci sei? Leggiamo, ora, qualche breve cenno di Osho sul coraggio indispensabile per avvicinarti – con tutta l’umiltà che le circostanze consentono – alla Verità della vita. Ma non attenderti comunque realizzazioni definitive, ciò che chiamiamo esistenza è, in realtà, solo un iter senza inizio né fine …
«Solo l’aquila conosce la solitudine delle altezze, il silenzio delle altezze, i pericoli delle altezze. Ma senza conoscere i pericoli, non si cresce mai. L’insegnamento fondamentale di Zarathustra è: vivi pericolosamente. Segui l’aquila verso cieli lontani; non aver paura, perché il tuo io interiore è immortale. Coloro che hanno paura del pericolo sono le persone che non conoscono il loro sé immortale. La loro paura mostra la loro ignoranza e nient’altro. E chi non è un uccello non costruirà la sua casa sopra gli abissi. [Dice Zarathustra]
Ma la gioia di costruire una casa sopra grandi abissi, quella gioia appartiene solo a pochissime anime coraggiose. Secondo Zarathustra, la religione non è per tutti. È solo per le aquile; è solo per coloro che sono pronti a vivere pericolosamente, perché solo loro possono trovare la verità, solo loro possono scoprire il significato della vita… (Questa citazione proviene da: Osho – Zarathustra: Il profeta che ride – Discorsi sul Cosi parlo Zarathustra di Friedrich Nietzsche)»
Ne desumo, da una parte ti senti solo perché non sei in contatto con te stesso, dall’altra temi proprio quelle altezze che potresti in tal guisa rinvenire – ironia delle circostanze – nella tua medesima interiorità. La soluzione? Abbi coraggio, attingilo dove ti pare, ma rammenta che valore, audacia, forza e risolutezza non dovrai giammai inventarli, fanno parte della tua natura più intima, sono la norma e non l’apoteosi, solo che al momento sei addormentato.
Nella realtà fattuale della spiritualità tout court il coraggio è, soprattutto, l’elemento invariante della meditazione, l’atteggiamento che ti consente di spiccare il volo verso un orizzonte che non esiste per conquistare una meta che è solo nei sogni … giacche tutto ciò che potrà mai esserci utile o vantaggioso è proprio qui, ora, nell’attimo, al cospetto di Sua Maestà il Presente …