Lo spirito e la mente hanno sempre giocato un ruolo centrale nelle arti marziali, ma ciò che molti potrebbero non sapere è l’influenza profonda del pensiero Zen su queste discipline millenarie. Mentre le arti marziali si concentrano sull’aspetto fisico, come la padronanza dei movimenti, la forza e l’agilità, il pensiero Zen offre un approccio complementare che coinvolge la mente e lo spirito. Difatti molte scuole di arti marziali tradizionali associano – alfine di sviluppare una consapevolezza profonda, una presenza mentale e un equilibrio interiore nei loro praticanti – svariati insegnamenti o approcci Zen.
Attraverso la meditazione, la concentrazione e la comprensione della filosofia Zen, gli artisti marziali possono superare gli ostacoli mentali, liberare le distrazioni e raggiungere uno stato di calma interiore. L’articolo esplora anche gli insegnamenti di grandi maestri che hanno combinato lo Zen con le arti marziali per creare un approccio olistico alla formazione del corpo e della mente.
Le arti marziali, quando integrate con il pensiero Zen, vanno al di là dell’aspetto puramente combattivo e diventano un percorso per la crescita personale e lo sviluppo spirituale. L’articolo fornisce una panoramica delle diverse tecniche e strategie utilizzate nelle scuole di arti marziali Zen e sottolinea l’importanza di una pratica costante e disciplinata per raggiungere l’armonia tra corpo e mente.
In conclusione, riassumendo, i seguenti appunti esplorano il connubio tra Zen e arti marziali, rivelando come la combinazione di questi due mondi possa portare a una crescita interiore e a una maggiore consapevolezza. Se siete interessati a scoprire di più su come queste scuole possano aiutare a dirigere lo spirito, vi invitiamo a proseguire nella lettura.
Le arti marziali non sono teatro, né sport, né spettacolo. Il loro segreto e che in esse non esiste né vittoria né sconfitta. – K. Sawaki
Kodo Sawaki, uno dei grandi maestri zen dei tempi moderni, ripeteva spesso che zen e arti marziali costituiscono un’unità.
Nel budo come nello zen la prima tappa, detta shojìn, può durare dai tre ai cinque anni, anche se anticamente poteva arrivare a dieci. Durante questo periodo il discepolo cerca la propria strada e con la guida del maestro conosce e tempra il suo spirito con sempre maggiore determinazione e coscienza. Un percorso che si conclude quando il Maestro accorda al suo discepolo lo shiho, la trasmissione. Nella seconda tappa il discepolo diviene un vero assistente del Maestro, e pratica con uno spirito capace di percepire sensazioni sottili, profonde, frutto dì una capacità di concentrazione senza coscienza. La terza tappa vede il discepolo accedere allo status di autentico maestro: lo spirito attinge alla vera libertà, quella interiore.
Elementi decisivi sia nella meditazione che nel combattimento, sono la determinazione, intesa come costanza e presenza, e la capacità di creare e concentrare una propria energia. Una presenza “totale” deve caratterizzare ogni azione, istante dopo istante. Nella pratica dello zen come in quella delle arti marziali non é permesso pensare, riflettere. L’intuizione e l’azione devono scaturire nello stesso istante. Il segreto di questo tipo di movimento è la sua naturalezza, il suo nascere da inconscia capacità dì sentire e pensare col corpo. È lo stato dì conoscenza più profondo, e viene chiamato hìshìryo, il pensiero che non pensa. Una sorta di vigile e totale rilassatezza del corpo che garantisce una percezione allargata del contesto in cui ci si trova e da cui nascono movimenti in cui intuizione, e azione convivono.
In za-zen si deve tendere a una perfetta immobilità, concentrati solo sulla respirazione e sulla corretta postura, senza soffermarsi mentalmente su alcun pensiero, lasciando semplicemente che le immagini mentali passino come delle nuvole nel cielo. È un’immobilità totalmente priva di tensioni, in costante equilibrio sul fluire delle proprie sensazioni.
Allo stesso modo durante un combattimento lo spirito non deve lasciarsi influenzare da nessun movimento dell’avversario, da nessuna azione del suo corpo e della sua mente. Bisogna mantenere una totale concentrazione e, allo stesso tempo, lasciare che lo spirito si muova liberamente, istante per istante. Solo l’azione che scaturisce da questo stato d’animo da forma allo spirito, incarnandone la sua sostanza profonda, che nasce dall’inconscio. Anche per questo meditazione e combattimento sono considerate delle scuole per dirigere lo spirito.
Taisen Deshimaru, maestro di spada e meditazione, discepolo di Kodo Sawaki e grande ambasciatore dello zen in Occidente, scriveva: “Non dovete distrarvi durante zazen né durante l’allenamento delle arti marziali. Bisogna praticarli a fondo, concentrandosi, impegnandosi totalmente. Non bisogna serbare parte di energia come riserva. Concentrarsi significa esprimerla, scaricarla totalmente. Se durante un combattimento ci si risparmia non si può vincere. È il segreto delle arti marziali, dello zen, e di ogni azione della nostra vita”.
Za-zen
Non è necessario andare in Giappone per trovare l’autentico insegnamento dello zen. Il vero zen è qui ed ora, nel nostro corpo e nel nostro spirito. Se postura e respirazione sono giuste, lo spirito ritrova la sua condizione naturale. Il canto dei Sutra e le cerimonie nei templi sono cose molto belle, ma non è lì l’essenziale. Lo zen non è solamente il Buddhismo, e l’essenza dello zen non è lo zen. Bisogna che abbandoniamo tutto, anche il Buddhismo, anche lo Zen, e ci concentriamo, qui ed ora, su una cosa sola: zazen.
Il vero Zen si pratica senza motivo, senza scopo, senza cercare neanche il satori. Quello che conta è zazen, essenza dello zen. Zazen è difficile, lo so. Ma, praticato quotidianamente, è molto efficace per l’allargamento della coscienza e lo sviluppo dell’intuizione. Zazen non sviluppa soltanto una grande energia, è una postura di risveglio.
Una pratica regolare za-zen ci restituisce alle condizioni originali dell’esistenza: dimenticare tutto, abbandonare tutto, senza scopo, sedersi in silenzio. Ritrovare l’accordo del respiro con l’istante presente, allora tutto diventa giusto.
Non è possibile tornare indietro durante il respiro. Lo si può solo ripetere quando è finito. Ecco perché dovete aver cura di respirare bene, diceva il Maestro Dogen.
T. Deshimaru Roshi
L’insegnamento della postura, che e’ trasmissione dell’essenza dello zen, ha luogo in un dojo (luogo della pratica della Via). Esso e’ impartito da un maestro, iniziato tradizionalmente, nella linea dei patriarchi e del Buddha. Nel dojo sono insegnati i quattro atteggiamenti fondamentali del corpo, come stare in piedi, come camminare, come sedersi, come allungarsi. Sono le posture originali.
La Postura
Seduti al centro dello zafu, si incrociano le gambe secondo la tradizionale posizione del loto: il piede destro sulla coscia sinistra, il piede sinistro sulla coscia destra, le piante rivolte verso l’alto. Nel mezzo loto, solo un piede poggia sulla coscia opposta, mentre l’altro, con la pianta rivolta verso l’alto, poggia a terra. Per superare le prime difficoltà è possibile incrociare semplicemente le gambe e poggiare almeno un piede sul polpaccio opposto, con le ginocchia saldamente poggiate al suolo.
Una volta seduti, si bilancia il bacino in avanti spingendo al livello della quinta vertebra lombare, in modo che gli organi interni trovino la loro naturale disposizione nell’addome. La colonna vertebrale è eretta, il ventre disteso, il dorso diritto, la nuca dolcemente tesa dall’impercettibile spingere della testa verso l’alto. Il mento rientrato, il naso in linea con l’ombelico, le orecchie perpendicolari al piano delle spalle. Una volta in postura, si chiudono le dita intorno ai pollici e tenendo i pugni sulle cosce si oscilla a sinistra e a destra, riducendo progressivamente i movimenti fino a trovare la linea d’equilibrio.
Al terzo tocco della campana, si congiungono le mani dinanzi a sé, palmo contro palmo, con le braccia all’altezza delle spalle, bene orizzontali.
Concluso il saluto, le mani scendono dolcemente verso l’addome: dita distese e palme rivolte verso l’alto, la destra accoglie la sinistra e i pollici, orizzontali e in leggero contatto tra di loro, si prolungano uno nell’altro. I mignoli poggiano sul basso ventre, i polsi sugli inguini. Le spalle aperte ricadono naturalmente all’indietro, lasciando le braccia leggermente discoste dal corpo. La bocca è chiusa ma non contratta, la lingua aderente al palato con la punta a sfiorare la radice degli incisivi. Gli occhi sono semichiusi, lo sguardo immobile ma non fisso posato a circa un metro di distanza.
La respirazione
La respirazione nasce naturalmente dalla corretta postura. Mantenendo sempre la fascia addominale in leggera tensione al livello delle anche, si inspira portando gli intestini verso l’alto e si espira esercitando su di essi una spinta verso il basso, sino a tendere la parte del ventre al di sotto dell’ombelico. L’espirazione è più lunga dell’inspirazione, circa il doppio, il ritmo lento e profondo. Dolce, lunga, silenziosa e mai forzata, la respirazione zen non è paragonabile a nessun’altra.
L’atteggiamento dello Spirito
Il giusto atteggiamento dello spirito nasce spontaneo dalla profonda concentrazione sulla postura del corpo e sulla respirazione. Si lascia che le immagini, i pensieri, le informazioni mentali che nascono dall’inconscio passino, ripassino, svaniscano, senza opporsi e senza attaccarsi ad esse. Non si cerca nulla né si fugge nulla, per arrivare all’inconscio profondo, senza pensiero, oltre ogni pensiero.
Kin hin
Kin-hin, come zazen, è una postura di profonda concentrazione. Kin-hin è una marcia ritmata, che alterna tensione e distensione, tempi forti e tempi deboli. Durante le sesshin, Kin-hin scandisce la pausa tra uno zazen e l’altro. [ … ]
Taisen Deshimaru Roshi il grande ambasciatore dello zen
Lo zen arriva ufficialmente in Europa nel 1967, quando Taisen Deshimaru Roshi (1914-1982) sbarca a Parigi con l’incarico di rappresentare tutte le scuole zen del Giappone. Nipote di un samurai, maestro di spada e di zen, Deshimaru, ha 52 anni ed è stato discepolo del grande Maestro Kodo Sawaki: con lui ha praticato da laico per 32 anni e solo sul letto di morte Sawaki lo ha ordinato monaco col nome di Taisen (Grande eremita). L’anno successivo Deshimaru lascia il lavoro, la moglie e i tre figli e parte per la Francia. I primi tempi non sono facili: l’ambasciatore dello zen vive nel retrobottega di un negozietto di macrobiotica, guadagna il poco che gli serve per vivere praticando massaggi shiatsu. Dopo il primo difficile periodo, nel 1972 apre un suo dojo a Parigi, dove insegnerà sino alla morte. Sin dalla fine degli anni ’60, Deshimaru ha iniziato a vagare per l’Europa organizzando seminari e sesshin in palestre, alberghi, istituti religiosi, ma anche in isolate foreste dove riunisce i praticanti sotto la volta di grandi tendoni. Migliaia di europei sono stati iniziati alla pratica della meditazione zen da lui. Solo la notte torna ad essere quel Grande eremita che il Maestro Sawaki ha visto in lui: siede alla sua scrivania, studia e scrive, lavora ogni giorno per trasformare i suoi insegnamenti orali (kusen) in libri. Nei 15 anni di missione in occidente sono venti i testi che scrive per gli europei. L’Association Zen lntenationale da lui creata, vanta tra i suoi sostenitori personaggi come Padre Lassalle, Malraux, Lévi Strauss, Von Karajan, Bejart. Alla fine degli anni ’70 molti parlano di lui come il primo patriarca d’Europa. Nel 1977 viene nominato missionario d’Europa e Africa, nel 1979 comincia a lavorare a un grande progetto: creare il primo grande tempio d’occidente. Lo fonda con nome di ‘Gendronnière’ in un castello sulla Loira. Deshimaru non vedrà l’opera realizzarsi in toto: nel 1982, anno che aveva indicato come anno della “non paura” con l’obiettivo di dare nuovo impulso alla sua missione, muore in Giappone dove si era recato per curarsi.
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– Taisen Deshimaru – Wikipedia