La meditazione – in particolare agli esordi, se non ogni volta che ci si accinge a siffatto nobile proposito – non può prescindere dall’ambiente circostante. Innanzitutto ci s’immedesima con quanto ci attornia, senza ritenersi per forza di cose avulsi, se non superiori. Quindi ci si appresta via via ad accoglierne gli innumerevoli e ridondanti stimoli lasciandoli dunque fluire sino al loro naturale dissolvimento. A un certo punto di siffatta nobile pratica finanche il meditatore comincerà gradualmente a eclissarsi, ma non sarà sparito, tutt’altro, avvertirà, di fatto, di appartenere a tutto ciò che lo avvolge, che lo pervade. La sua consapevolezza, oltrepassati gli angusti limiti dell’abituale coscienza ordinaria, si sarà espansa, oltre misura, sino ad abbracciare ogni forma di vita, o di vuoto. … Jiddu Krishnamurti disserta su attenzione e concentrazione tentando di rendere il nostro approccio alla meditazione viepiù concreto. …
“Era una bella serata, il cielo era chiaro e brillavano le stelle, malgrado la luce della città; nonostante la torre fosse inondata di luce da tutti i lati, si poteva vedere l’orizzonte lontano, e in basso sul fiume c’erano macchie di luce; sebbene ci fosse il rumore continuo del traffico, era una sera piena di pace. La meditazione venne avanti lentamente come un’ondata che ricopra la sabbia. Non era una meditazione che il cervello potesse imprigionare nella rete della sua memoria; era qualcosa a cui il cervello intero cedeva senza alcuna resistenza. Era una meditazione che andava molto al di là di qualsiasi formula, di qualsiasi metodo; il metodo, la formula, la ripetizione distruggono la meditazione. Nel suo movimento essa abbracciava ogni cosa, le stelle, il rumore, la pace, e la distesa d’acqua. Ma non c’era un meditatore: il meditatore, l’osservatore deve sparire perché possa esserci meditazione. Lo scomparire del meditatore fa parte della meditazione; ma nel momento in cui il meditatore non c’è più, si ha una meditazione del tutto diversa.
Era mattino prestissimo, Orione stava salendo all’orizzonte e le Pleiadi erano quasi allo zenit. Il rumore della città s’era acquietato e a quell’ora tutte le finestre erano spente e c’era una piacevole, fresca brezza. Nella completa attenzione non c’è possibilità di ‘fare esperienza’. C’è invece nella inattenzione: è questa inattenzione che accumula esperienza, moltiplicando i ricordi, erigendo muri di resistenza; è questa inattenzione che cementa le attività centrate sull’ego. L’inattenzione è concentrazione, cioè esclusione, separazione dal tutto; la concentrazione conosce la distrazione e l’eterno conflitto di controllo e disciplina. Nello stato di inattenzione, ogni risposta a ogni provocazione è inadeguata; l’esperienza è questa inadeguatezza. L’esperienza porta all’insensibilità, ottunde il meccanismo del pensiero, inspessisce le pareti della memoria e l’abitudine, la routine divengono la norma. L’esperienza, inattenzione, non è liberante. L’inattenzione è lento declino.
Nella completa attenzione non esiste il fare esperienza; non c’è un centro che sperimenta né una periferia entro la quale l’esperienza possa avvenire. L’attenzione non è concentrazione, che è restringente, limitante. L’attenzione totale include, mai esclude. La superficialità nell’attenzione è inattenzione; l’attenzione totale include ciò che è in superficie e ciò che è nascosto, il passato e la sua influenza sul presente, diretta verso il futuro. Tutta la coscienza è parziale, delimitata, e l’attenzione totale include la coscienza con le sue limitazioni, ed è in grado di abbatterne i confini, le limitazioni. Tutto il pensiero è condizionato, e il pensiero non può decondizionare sé stesso. Il pensiero è tempo ed esperienza; esso è essenzialmente il risultato della non-attenzione.
Che cos’è che produce l’attenzione totale? Non un metodo né un sistema: questi producono quello che promettono, un risultato. Ma l’attenzione totale non è un risultato più di quanto lo sia l’amore; essa non può essere indotta, non può essere provocata da nessuna azione al mondo. L’attenzione totale è la negazione dei risultati dell’inattenzione, ma questa negazione non è l’atto di una attenzione cosciente. Ciò che è falso deve essere negato non perché si conosce già ciò che è vero; se si conoscesse ciò che è vero il falso non esisterebbe. Il vero non è l’opposto del falso, l’amore non è l’opposto dell’odio. Nei limiti in cui si conosce l’odio non si conosce l’amore. Il rifiuto del falso, il rifiuto delle cose della non-attenzione non è il risultato del desiderio di raggiungere l’attenzione totale. Vedere il falso come falso e il vero come vero e il vero nel falso non è il risultato di un confronto. Vedere il falso come falso è attenzione. Non si può vedere il falso come falso quando esistono l’opinione, il giudizio, la valutazione, l’attaccamento e così via, che sono il risultato della non-attenzione. Vedere l’intero edificio della non-attenzione vuol dire attenzione totale. Una mente attenta è una mente vuota.
La purezza della diversità è la sua immensa e impenetrabile forza. E questa è stata presente insieme a una straordinaria pace, questa mattina.”
(Da: Jiddu Krishnamurti – Taccuino)
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– Jiddu Krishnamurti – Wikipedia
– Krishnamurti.it
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