Uno dei motivi più ricorrenti – per taluni si tratta dei principali ostacoli – che impediscono di meditare adeguatamente, ossia con effettivo profitto, sono le distrazioni. Siffatte dimenticanze – cui s’incorre, talora senza nemmeno accorgersi e che allontanano dal proprio benemerito obbiettivo primario, una sana e lungimirante consapevolezza – sono una spina nel fianco della nostra pratica di liberazione. Troppo contorto? Me lo auguro … a volte tendo la corda dell’attenzione per ricondurre i lettori a se stessi … ma ecco le splendide quanto istruttive considerazioni del maestro Corrado Pensa …
«Il Witakkasanthana Sutta, il discorso del Buddha che illustra partitamente (distintamente, ndr) come fronteggiare i pensieri distraenti, è di speciale interesse per la pratica. Il sutta si occupa delle distrazioni in quanto ostacolo al raccoglimento (o concentrazione) della mente, cioè al samadhi, che è la base dei jhana, o stati di assorbimento profondo. Esso è inoltre ricco di suggerimenti riguardo all’investigazione riflessiva.
Negli insegnamenti del Buddha si parla abbastanza spesso dei jhana. Oggi a volte si sottolinea che, pur trattandosi di esperienze importanti, non sono da confondere con gli elementi veramente liberanti del cammino interiore. Tuttavia, dalle discussioni tra i discepoli del Buddha, emerge che alcuni consideravano questi stati, soprattutto quelli più elevati, come il massimo conseguimento, l’apice del percorso meditativo, addirittura allo stesso livello della liberazione. Da un certo punto di vista è curioso che ciò avvenisse, poiché il Buddha, nel suo itinerario di ricerca, aveva abbandonato alcuni maestri di meditazione dai quali aveva appreso gli stati di assorbimento concentrativo, proprio perché si era reso conto che tali stati non potevano rappresentare – come quei maestri insegnavano – il punto di arrivo.
Al tempo stesso il Buddha non cessò mai di sottolineare l’importanza del raccoglimento, del samadhi, della calma concentrata. Infatti, l’esercizio della consapevolezza-comprensione ha bisogno di essere sorretto da una buona capacità di calma concentrata.
È dunque importante acquisire una prospettiva il più possibile corretta su questo punto, che ancora oggi è oggetto di dibattito. Samatha o samadhi è un fondamento importante e deve servire alla vipassana, ossia a “vedere”. Questo se vogliamo fare pratica di vipassana (chiara visione). Se invece vogliamo percorrere il cammino dei jhana, allora dobbiamo fare esclusivamente pratica di samatha o samadhi.
Chi ha una certa inclinazione al raccoglimento mentale può magari, anche senza accorgersene, finire per praticare soprattutto samatha e non vipassana: questo accade perché il raccoglimento è piacevole e dà un senso di forza. Così facendo tuttavia si lascia cadere ciò che è specifico della vipassana, e cioè la consapevolezza investigativa.»