La rana zen aveva un sogno: vivere, di tanto in tanto, in una casa in riva al mare. Semplice, direte, ma il suo sogno era una dimora a ridosso dei flutti, lambita dalla risacca. Dimodoché si ritrovasse ricoperta di salsedine e con la super-mente cullata dall’eterno sciabordio del tempo. La rana, in realtà, pensava a un vecchio amore. Un amore piuttosto immaginario che, tuttavia, la turbava come fosse reale.
Il sogno l’assorbiva così tanto da sentirsi proiettata in una dimensione super-cosciente. Il mondo astrale creato dal suo desiderio… Accidenti, ma le rane zen non vivono, quasi sempre, nei placidi stagni limitrofi agli spettacolari giardini adiacenti gli emblematici templi, anch’essi zen? Non sempre, è ovvio. Il mondo è vasto, ciascuna regione ha usi, costumi e peculiarità incalcolabili. Tuttavia, la rana conosceva la “legge”. Quell’antichissima formula che recitava: “Cos’è che cerchi, fratello… dov’è che ti rechi se il mondo intero è già in una goccia? Quell’umile rugiada che permea di frescura l’innumerevole congerie di non-menti dedite, all’unisono, alla concentrazione sul nulla-tutto, ossia alla contemplazione del vuoto senza vuoto che, piaccia o meno, alla fin fine si rivela sempre e solo… amore.”
Chiacchiere, si disse la rana, dopo aver peregrinato nei reami dell’immaginario collettivo della specie a cui, malgrado tutto, perlomeno fisicamente, ancora apparteneva. Se non salpo per approdi meno mistici rimarrò impantanata, stavolta si, nel vuoto più assoluto. Pervasa dai dubbi, la rana zen ricorse, ancora una volta, all’onnipresente insegnante di meditazione: “Maestro, cos’è il vero amore?”, gli chiese.
“Quando la consapevolezza diventa il centro del nostro, pur umile, percorso esistenziale, si trasforma ben presto in faro. Tutto ciò che illumina diventa pura coscienza e la spiritualità non sarà più un mediocre attributo di comodo o un segno distintivo di appartenenza religiosa, ma l’unico, genuino, modo di essere. Quando ci renderemo conto che non siamo solo dei semplici attori, tanto meno delle banali comparse, ma dei soggetti compartecipi di un’eccezionale, atipica, rara, preziosa, sovrastante energia, allora e solo allora sapremo cos’è il vero amore.”, rispose in un profluvio d’indefinibile, ma perentoria saggezza il venerabile.
A questo punto la rana, piuttosto soddisfatta di essersi trastullata così tanto con termini che alludono, ma senza chiarire alcunché e con definizioni che non definiscono nulla se non se stesse, ribadì: “coscienza”, l’amore è solo “pura coscienza”.