Sul cancello del giardino della rana zen campeggiava una splendida targa con su scritto: nulla. Era vuoto? Lungo il viale d’ingresso, a ridosso dei tre “Chioschi della Salute”, tre ulteriori cartelli richiamavano l’attenzione dei visitatori.
Sul primo: «Il giardino della rana Zen è un buddhafield virtuale di spiriti liberi. L’energia che sprigiona l’insieme favorisce di per sé la consapevolezza. Dimodoché la ricerca della verità, della propria natura essenziale – ossia il paradigma dell’incommensurabile – saranno alla portata di tutti.»
Sul secondo: «Non appena l’intuizione diventa prassi, i luoghi comuni implodono, le verità organizzate ardono, il profumo della gioia eterica vivacizza i depressi; i riflessi della coscienza astrale disintegrano blocchi e paure fin quando l’ansia si trasforma in un mero, inutile ricordo.»
Sul terzo: «Rallegratevi perché qui non c’è nessuno che vi dica cosa fare, cosa dire o come comportarvi tranne, come giustamente ripeteva sovente il nostro mitico maestro, rispettare la libertà degli altri.»
Infine, nell’ultimo viale – proprio prima di uscire – un ulteriore suggerimento: «Ritornare periodicamente in questo giardino aiuta a distendere il corpo mentale, a sintonizzare quello astrale con le armoniche più preziose per il proprio benessere.»
Morale? Nessuna. Chi ha detto che dev’esserci sempre?
– “Maestro, cos’è il giardino?”, chiese la rana zen al suo ineffabile precettore. “È la tua vera natura, figliola”, le rispose senza tergiversare il suddetto. “La tua più pura e incontaminabile natura di essere senziente numero 3.
“Oddio – delle rane – numero 3? … Che significa?”, si chiese lo scrivente, ossia il trascrittore di questi antichi e nobili colloqui.
Beh, ne riparleremo …