La prima reazione quando ci relazioniamo con qualche estraneo è valutarne i pregi, gli eventuali difetti, basandoci sempre su criteri pressoché istantanei, provvisori quanto informali. La pietra di paragone è sempre il conosciuto, ciò che in qualche modo abbiamo già esperito. Il criterio è la differenza che ci rende, secondo i casi, tristi, orgogliosi, ecc. Il parametro di giudizio è la mancanza, ossia il vuoto, che in realtà non è il gap con il diverso, l’alieno, ma la distanza che ci separa da noi stessi. Un distacco che si può colmare soprattutto con la meditazione.
La differenza
La distinzione decade,
mi sento come i verdi
e cari omini
che popolano il mio bosco di betulle.
Il leccio mi deride,
il larice sogghigna
all’imponente comparsa del castagno.
Che tristezza, Maestà!
Il pioppo è tremulo,
il salice trastulla.
Sicché mi fermo.
Implorare un obolo?
Qui tutti danno
e non avrebbe senso
nemmeno chiedere.
Un attimo bell’elfo,
la tua saggezza intriga,
mi seduce, ma io
chi sono, dove mi trovo?
Che differenza fa!
Sei tutto, poi nessuno,
sei laddove tu creda.
Nugoli grigi oscurano l’azzurro,
fiori rossi ne esaltano la luce.