Il vero scopo della pratica, quindi, non è sviluppare samadhi, sedendosi in meditazione e aggrappandosi a quello stato di beatitudine che procura. Dovete anzi evitare questo stato. … Quando c’è la felicità, osservate quella felicità; quando c’è la sofferenza, osservate quella sofferenza. E così stabilizzati nella consapevolezza, provate a lasciarle andare entrambe, a metterle da parte. … La cosa importante è essere sempre e continuamente consapevoli della propria mente. (Ajahn Chah)
Il vero scopo della meditazione, nonché l’unico per cui valga davvero la pena d’impegnarsi non è – come purtroppo in tanti, in molti, in troppi credono – quello di raggiungere la felicità, toccare con mano la beatitudine, ossia esperire il samadhi; e non è nemmeno quello di evitare la sofferenza, pur con tutta la destabilizzazione che per l’appunto al momento comporta, ma divenire consapevoli. E di cosa si può essere decisamente consapevoli se non dei propri pensieri?
Quindi, se vuoi meditare siedi o assumi una posizione consona e osserva la tua interiorità come se fosse un semplice squarcio di cielo. Esattamente come il cielo che ti sovrasta all’esterno. Con ogni probabilità, dapprincipio ti sembrerà offuscato, nuvoloso. L’andirivieni di formazioni mentali è così intenso che in apparenza l’orizzonte intimo è tutto occupato. Ma se persisti nell’osservare, le nubi pensiero, come le più svariate sensazioni contingenti, si diradano per lasciar filtrare la chiara luce della serenità di spirito.
Tuttavia non credere che la serenità sia una sorta di quiescenza. Al contrario è il trampolino di lancio più appropriato per esprimere e realizzare la propria energia.