«Nel momento in cui cominciate a cercare vi siete allontanati dal presente, allontanati da voi stessi, perché “voi” siete sempre nel presente. (Osho, il libro dei segreti)»
Quanti anni sono trascorsi da quando lessi “Il libro dei segreti”, il testo in cui furono raccolti i primi discorsi sul “Vijñana Bhairava Tantra” dell’indimenticabile Rajneesh, colui che in seguito si fece chiamare Osho? Molti, forse troppi. E quanti da quando, pur senza aderire ad alcuna dottrina o adottarne vesti e simboli conobbi quella scuola meditativa direttamente? Cos’è che realizzai lì per lì, se non negli anni successivi? Quali sono, infine, le mie deduzioni attuali in merito alle vicende mistiche di coloro che invece di veleggiare in superficie come la stragrande maggioranza dei presunti ricercatori spirituali, ossia dell’immensa masnada di pseudo simpatizzanti delle più svariate religioni, s’inoltrarono verso il mirabolante oceano della consapevolezza?
Beh, mi sa che ho impiegato più spazio per formulare queste domande che per trascrivere le relative risposte. Sì, perché le domande sono infinite. Non per nulla fanno parte del gioco della vita. Mentre, in realtà, la risposta può essere solo una. Solo che per capirlo, per rendersene conto, per realizzarlo … no, è più corretto dire, per accettarlo, s’impiegano anni. Eppure quella risposta era comparsa subito. Troppo semplice? Niente affatto, avevi voglia di recitare, di soffrire, di lottare. Per non rinunciare all’idea di essere qualcuno? Per non mollare l’ego e procrastinare ad libitum le tue false identità? Macché! A mio avviso non si tratta nemmeno di paura. Anche se il terrore di dover celebrare la fine dell’ego e della pletora d’identificazioni che lo accompagnano sembra smisurato, tutto ciò non può giustificare la cronica ritrosia riguardo la verità del proprio sé, o non- sé, del qui, dell’ora, del presente.
Il bello è che Osho, che abbiamo citato dapprincipio, lo disse subito: se cerchi ti allontani da te stesso. E, ovviamente, subito tutti lì a cercare come dannati quel balenìo di libertà che chiunque poteva percepire già nella sua vita. Dopodiché, anche Osho, forse deluso, fornì i balocchi alle pecore del gregge – di tutti e di nessuno – sperando che alla fine potessero stancarsene. Quindi adagiarsi, chiudere – metaforicamente – gli occhi e innaffiare il nucleo-seme interiore con l’ineffabile luce della pura e semplice – per taluni persino banale – consapevolezza. Ma tant’è, ho scritto senza pensare e ho riportato risposte implicite che spero, se non subito, perlomeno col tempo, possano esservi d’aiuto. (nick.salius, colui che arrivò secondo)