A proposito degli insegnamenti, tipici dello zen, che il maestro Roland Yuno Rech esemplifica con dovizia di esempi in modo da renderli quanto più comprensibili anche ai meno adusi alle speculazioni metafisiche tipiche di questo originale approccio alla meditazione: non separare mai ciò che ti accingi a leggere dalla sua pratica successiva. Idem per lo zazen, non vi è nessuna distanza da quel che fai – ad esempio la postura che assumi – e quanto sei. Vuoi meditare subito? Rammenta, come sottolinea il maestro, che pratica e realizzazione non sono due tappe … Hai compreso? Ne dubito. Ebbene, sei sulla buona via. Per cosa? Per spiccare quel balzo quantico che ti proietterà proprio laddove non avresti mai pensato di giungere: esattamente dove sei già, ma con una consapevolezza del tutto nuova!
«La risposta del Maestro Dogen alla settima domanda del Bendowa incarna il cuore, l’essenza della nostra pratica, ciò che l’ha fatta qualificare come pratica del risveglio immediato.
Risveglio immediato non significa un’illuminazione improvvisa, come qualcosa che ci cade addosso dal cielo, o come una rivelazione interiore. Non si tratta di un avvenimento, ma semplicemente del ritorno alla nostra autentica condizione normale. Ciò significa che siamo ciò che pratichiamo, istante dopo istante. Nell’istante in cui pratichiamo zazen, al di là di ogni spirito di ottenimento, al di là del voler afferrare o respingere qualche cosa, al di là di ogni calcolo, questo zazen diventa immediatamente la realizzazione della libertà autentica.
È una trasmissione da sé stessi a sé stessi, poiché nessun altro al di fuori di noi può realizzare ciò. Qualcun altro ci può indicare la direzione, insegnare la pratica, ma la possiamo realizzare solo da noi, così come possiamo conoscere il gusto e la temperatura dell’acqua solo bevendola da soli.
Per realizzare ciò è essenziale abbandonare la presa nella pratica stessa di zazen. Una volta entrati nella pratica, una volta assunto la postura, calmate le agitazioni della mente, approfondita la respirazione, non facciamo più nulla. Zazen continua al di là della nostra volontà, non come un esercizio. Dogen insisteva dicendo: “Dovete sapere che, per non macchiare questa realizzazione che è inseparabile dalla pratica, i buddha e i patriarchi hanno insegnato senza sosta che non dobbiamo indebolire o diminuire la nostra pratica, facendone qualcosa di limitato”.
Per illustrare quest’insegnamento il Maestro Dogen racconta che, quando si trovava in Cina, aveva visto numerosi monasteri zen in cui vivevano tra i cinquecento e i duemila monaci, che praticavano zazen ogni giorno.
Quando chiese agli abati di quei monasteri di indicargli l’essenza del buddhismo, essi gli risposero: “La pratica e la realizzazione non sono due tappe”: Per questa ragione Dogen ha dedicato tutta la sua vita a insegnare ciò, raccomandando la pratica a tutti, ai principianti, ma anche ai monaci risvegliati. Egli cita la celebre frase del maestro Nangaku che rispose al Maestro Eno: “Non è che non ci sia pratica o realizzazione, ma non dobbiamo macchiarle”. Non dobbiamo separarle, opporle.
Ottava domanda: “Perché i maestri che hanno trasmesso il buddhismo nel passato nel nostro paese (cioè Kukai e Saicho, che introdussero la scuola Shingon e Tendaï), quando sono andati in Cina, diventando coloro che trasmettevano il dharma, hanno trasmesso solo la dottrina, ignorando zazen?”
Il Maestro Dogen: “I maestri del passato non hanno trasmesso il Dharma – zazen – perché non era ancora il momento”.
Nona domanda: “I maestri di un tempo hanno compreso questo Dharma – zazen?”
Il Maestro Dogen: “Se l’avessero compreso, l’avrebbero fatto conoscere”.»
(Sesshin di Ghigo di Prali diretta dal Maestro Roland Yuno Rech, Bendowa del Maestro Dogen, Sabato 17 aprile 1999, kusen delle 16:30)
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– Roland Yuno Rech — Wikipédia (wikipedia.org)
– Sesshin – Wikipedia
– Fonte