La retta concentrazione è una delle qualità essenziali per la pratica dello Zen. Ma cosa significa concentrarsi? Secondo Shunryu Suzuki Roshi, uno dei più influenti maestri Zen del XX secolo, la concentrazione non è una forzatura della mente su un oggetto o un’idea, ma una disposizione naturale e spontanea a essere presenti a ciò che accade nel momento. La concentrazione non è una fuga dalla realtà, ma un modo di entrare in contatto con essa.
Per coltivare la retta concentrazione, Suzuki Roshi ci invita a praticare lo zazen, la meditazione seduta. Lo zazen non è un mezzo per ottenere qualcosa di speciale o di straordinario, ma un modo per essere sé stessi, per accordarsi con la propria natura originaria. Lo zazen non ha uno scopo o un fine, ma è un’espressione della nostra libertà interiore.
Quando pratichiamo lo zazen, non dobbiamo cercare di controllare la nostra mente o di eliminarne i pensieri. Dobbiamo semplicemente: a) lasciare che la mente sia com’è, senza attaccarci o respingere nulla; b) osservare con gentilezza e curiosità ciò che sorge nella nostra coscienza, senza giudicare o commentare; c) accettare con gratitudine ogni esperienza, sia piacevole che spiacevole, come un dono della vita.
La retta concentrazione non si limita allo zazen, ma si estende a tutte le attività della nostra vita quotidiana. Che si tratti di mangiare, camminare, parlare o lavorare, dobbiamo: a) fare ogni cosa con attenzione e consapevolezza, apprezzando il sapore e il valore di ogni momento; b) essere amichevoli e rispettosi con tutti gli esseri viventi, riconoscendo il loro valore unico e irripetibile; c) essere aperti e disponibili a ricevere ogni suono, ogni forma, ogni colore, come una manifestazione del mistero dell’esistenza.
La retta concentrazione è l’arte dello Zen. È l’arte di tracciare una linea retta con la nostra vita. È l’arte di essere semplicemente qui e ora. … ma leggiamo come si esprime in merito lo stesso Shunryu Suzuki Roshi in uno tra i suoi più noti discorsi di dharma …
«Chi è il bodhisattva Avalokitesvara? Si suppone che sia un uomo che a volte assume sembianze femminili (o una donna che a volte assume sembianze maschili). Sotto le sembianze femminili aiuta le persone. Questo è Avalokitesvara. A volte ha mille mani pronte ad aiutare gli altri. Ma se si concentra su una sola mano, le restanti 999 sono inutili.
Nello Zen “concentrazione” non vuol dire essere concentrati su una cosa sola. Senza tentare di concentrare la nostra mente su qualcosa, dovremmo essere pronti a concentrarci su qualcosa. Per esempio, se sto guardando qualcuno, il mio sguardo si focalizzerà su questo qualcuno. Anche se fosse necessario, sarebbe impossibile concentrarmi sugli altri. Spesso diciamo che bisogna fare “una cosa alla volta”, ma ciò che questa affermazione significa è difficile da spiegare. Quando pratico zazen non guardo nessuno, ma se qualcuno si muove me ne accorgo.
Fin dai tempi antichi, il punto principale della pratica è stato quello di realizzare una mente chiara e calma. In breve questa è la nostra pratica, il nostro credo. Con “credo” non intendiamo il credere a qualcosa come fa un fanatico. L’infatuazione non è la nostra pratica – piuttosto la nostra pratica è avere sempre una mente calma e serena, qualsiasi cosa si stia facendo. Anche quando mangiate qualcosa di buono, la vostra mente dovrebbe essere molto calma al fine di apprezzare il lavoro occorso per la preparazione di quel cibo e gli sforzi fatti per realizzare i piatti – le bacchette, le ciotole, e tutto il resto. Dovremmo apprezzare il sapore di ogni verdura, a ogni singolo boccone. Questo è il modo in cui prepariamo e mangiamo il cibo. Non mettiamo troppi condimenti o aromi nel cibo e cerchiamo di apprezzare la qualità di ogni cosa.
Conoscere qualcuno vuol dire percepirne l’aroma, il sapore. Il sapore non è l’odore, ma un qualcosa che si percepisce dell’altro. Ognuno ha una personalità particolare che si esprime attraverso i sentimenti, e ognuno ha il proprio sapore. Quando apprezziamo il sapore di qualcuno possiamo instaurare una buona relazione ed essere realmente amichevoli gli uni con gli altri. Essere amichevoli non vuol dire possedere qualcuno o attaccarcisi, ma apprezzare completamente l’altrui personalità o l’altrui sapore.
Per apprezzare cose e persone, la nostra mente deve essere calma, pura, chiara. Per avere questo genere di atteggiamento mentale, pratichiamo lo zazen. Con praticare lo zazen intendiamo “semplicemente sedersi” senza scopo – essere sé stessi – accordarsi con se stessi. Questa è la nostra pratica.
Voi parlate di “libertà”, ma probabilmente la libertà a cui vi riferite e la libertà del buddhismo Zen non indicano esattamente la stessa cosa. Per esempio, per raggiungere la liberazione, incrociamo le gambe e manteniamo una corretta postura. Manteniamo gli occhi in un certo modo e le orecchie pronte a ricevere ogni suono. C’è una ragione per cercare questa prontezza, questa apertura, infatti, per natura, tendiamo ad andare agli estremi e ad attaccarci a qualcosa, perdendo la calma e la chiarezza mentale. Per raggiungere questo stato di calma e chiarezza mentale non occorre forzarsi fisicamente o cercare di creare qualche stato mentale particolare. Potreste essere indotti a pensare che la pratica Zen consiste in ciò, o che avere una mente simile a uno specchio è il fine della pratica Zen, ed è così, ma se praticate zazen per ottenere questo stato mentale, siete già caduti nell'”arte dello Zen”.
La differenza tra l’arte dello Zen e il vero Zen è che raggiungerete quest’ultimo quando non cercherete di raggiungerlo. Se cercate di raggiungere qualcosa, vi sfugge. Quando provate a fare qualcosa, vuol dire che siete concentrati su una soltanto delle vostre mille mani, e non usate le altre 999. Ed è per questo che diciamo che occorre semplicemente sedere. Ciò non vuol dire arrestare completamente l’attività mentale o concentrarsi sul respiro, sebbene queste cose possano aiutare la pratica. Quando contate i respiri, non pensate troppo, non avete scopi.
Contare i respiri può non voler dir nulla per voi. Qualcuno può annoiarsi perché contare i respiri non ha nessun significato. Ma quando pensate in questo modo, non avete una reale comprensione della pratica. Occorre lasciare che la nostra mente segua i respiri; in tal modo non ci impegniamo in qualche complicata pratica nella quale rischiamo di perdere noi stessi. Pertanto per avere una mente calma, pura, aperta seguiamo questo genere di pratica.
Non so molto sull’arte, ma l’arte dello Zen consiste in qualcosa del genere: immaginate un abile maestro Zen che ha una grande forza e una buona pratica. Qualcuno potrebbe praticare lo Zen per essere come Tatsugami Roshi, per esempio, e pensare: “Oh, vorrei tanto essere come lui. Devo sforzarmi”. In questo modo si sta seguendo la via dell’arte dello Zen, non quella del vero Zen.
Come tracciare una linea retta o come controllare la vostra mente – questa è l’arte dello Zen. Ma lo Zen è per tutti. Se qualcuno non può tracciare una linea retta, ma può tracciare comunque una linea, sta già praticando lo Zen. E se questa linea è molto naturale, anche se non è dritta, è meravigliosa. Probabilmente questo è più che arte. Alcune persone preferiscono i lavori fatti dai bambini a quelli fatti da famosi artisti. C’è una certa differenza – Non saprei come spiegarla. Pertanto sia che vi piaccia o no la posizione a gambe incrociate, o sia che la possiate prendere o no, se capite cosa è il vero Zen, allora lo potete praticare. Se pensate che osservando con attenzione la pratica di Tatsugami Roshi, imparerete qualcosa, se avete uno scopo, ciò che apprenderete sarà l’arte dello Zen, non il vero Zen.
Pertanto la cosa più importante nella vostra pratica consiste nel seguire semplicemente il programma giornaliero e fare le cose insieme agli altri. A questo punto potreste dire che questa è pratica di gruppo, ma non è così. La pratica di gruppo è piuttosto differente – è una specie di arte. In tempi di guerra, quando praticavamo zazen, qualche giovane molto influenzato dall’ambiente militarista giapponese mi disse che in alcuni sutra si diceva che “Comprendere la nascita e la morte è il punto centrale della nostra pratica”, e che “anche se non sappiamo nulla di questo sutra, possiamo morire facilmente al fronte”. Questa è pratica di gruppo. Incoraggiati dalle trombe, dai cannoni e dagli inni di guerra è piuttosto facile morire. Questo genere di pratica non è la nostra pratica. All’inizio pratichiamo con le persone, ma il fine è quello di praticare con le montagne, con gli alberi e con le pietre – con tutto ciò che c’è nel mondo e nell’universo, e quello di trovare noi stessi in questo grande cosmo, in questo grande mondo.
Dobbiamo sapere intuitivamente dove andare. Quando il nostro ambiente indica di andare per un verso o per un altro, dobbiamo intuitivamente seguire tale indicazione. Mi interessa molto la parola “indicare”. Una “indicazione” è qualcosa che viene data da qualcun altro, e che si segue anche se non si aveva in mente di farlo. Questa è la pratica di cui parlava Dogen Zenji. Se la vostra pratica non segue nulla, non si accorda a nulla – egli non si riferiva infatti soltanto agli amici, ma a tutto, – non è una vera pratica.
Per praticare con ogni cosa occorre avere una mente calma. Venire in un centro Zen e praticare la nostra via è buona cosa, ma non dovete compiere un grande errore. Forse lo avete già fatto, ma dovete essere consci di ciò: “sto facendo un errore, ma non posso fare a meno di venire qui”. Allora la vostra pratica sarà di una qualità ben diversa. Dovete accettare quella parte di voi che si è impegnata in una pratica erronea. Dovete accettarla, perché è già lì. Non potete farci nulla. Non occorre cercare di liberarsene. Se aprite i vostri occhi, i vostri veri occhi, e accettate ciò, allora c’è la vera pratica. Non si tratta di pratica giusta o sbagliata, ma si tratta di accettare con franchezza e apertura mentale ciò che state facendo. Questa è la cosa più importante. Allora accetterete il fatto che, durante la pratica, pensate a qualcos’altro: “Oh, è sorto un pensiero”. Dovete accettare questa parte di voi. Non dovete cercare di liberarvi dalle immagini che sorgono: “Eccole che arrivano” – Questo è il genere di atteggiamento mentale, di sguardo che occorre avere. Non bisogna guardare nulla in particolare. Se qualcuno da una parte si muove, pensate: “Oh, si sta muovendo”. Ma se si ferma, il vostro sguardo rimane immutato. In questo modo, se la vostra pratica include tutte le cose, una dopo l’altra, e se non perdete questo “stato mentale”, state praticando nel modo corretto.
Questo genere di pratica è sconosciuto alla maggior parte delle persone ma per noi è molto importante. E’ stato trasmesso dal Buddha fino a Bodhidharma e poi fino a Dogen Zenji. Pertanto la nostra non è una pratica di gruppo. Pratichiamo grazie alle persone, e dunque può apparire come una pratica di gruppo. Ma in verità non è così. Probabilmente è un lavoro di gruppo che comprende tutto il mondo. Ma allora non si tratta più di un gruppo. Il “gruppo” esiste all’interno di una grande società. La nostra non è la pratica del Soto. Rinzai, Soto, Obaku: questi sono gruppi, ma la nostra pratica consiste nel praticare con tutto. Se c’è qualcun altro, possiamo praticare con questo qualcuno. Pertanto la nostra pratica non ha confini. Quando abbiamo questa base, abbiamo la vera libertà.
Ogni essere ha bisogno di qualcosa. Ma quando misurate o valutate il vostro essere, come buono o cattivo, giusto o sbagliato, bianco o nero, state esprimendo un giudizio comparativo. Solo quando vi valuterete con una misura illimitata, ognuno di noi sarà messo al posto giusto. Questo è abbastanza. Siccome utilizzate una misura piccola, limitata o dualistica, perdete di vista il vostro vero valore. Un nero dovrebbe essere soltanto nero, un bianco dovrebbe essere soltanto bianco. È abbastanza, sapete. Ma solitamente si pensa di aver bisogno di misurare di più. Dobbiamo accorgerci di ciò, e dobbiamo sapere qual è la vera pratica, per gli esseri umani e per tutte le cose.»
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– Shunryu Suzuki-Roshi (macrolibrarsi)
– Fonte