Relativo e assoluto sono due facce della stessa medaglia, entrambi i profili di Giano bifronte, due verità che coesistono nonostante le apparenze facciano di tutto per farle sembrare contrastanti, ossia relativamente o contestualmente opposte. L’avreste mai creduto? Eppure la narrativa del mainstream culturale di gran voga tra i delusi delle controcorrenti intellettuali pseudo-alternative del secolo scorso ci ha lasciato, soprattutto per spirito di convenienza, per opportunismo ideologico, per creare dunque una sorta di alone misterico dove non c’è mai stato proprio nulla da nascondere, ci ha lasciato credere che per sbirciare l’assoluto sia indispensabile sollevare il sipario del relativo. Come disse il profeta, che però non esiste, nulla di più fuorviante. Relativo e assoluto coesistono comunque, sono solo i due profili secondo cui l’eterno presente partecipa al gioco di maya, nonché i due aspetti che il testimone, quindi colui che medita, coniuga per dirimere l’occasionale contingenza quotidiana … ma leggiamo ora un estratto dei concetti all’uopo più salienti che lo straordinario quanto umile maestro zen Shunryu Suzuki-roshi si è pregiato, a tal proposito, di offrirci.
«Anche se le nostre nature sono differenti, la natura fondamentale è la stessa. […] Lo stesso vale per il modo in cui usiamo l’elettricità. A volte la usiamo come luce e a volte come un altoparlante. […] Nonostante i modi di esprimere la nostra natura siano diversi, le nostre nature hanno la stessa base. […] Non dovremmo essere attaccati alle differenze nell’uso, perché stiamo usando la stessa natura, o natura di buddha. Ma, a seconda della situazione, utilizzeremo la natura di buddha in modi diversi. È così che troviamo la vera natura all’interno di noi stessi nella vita quotidiana.
[…] Relativo e assoluto sono la stessa cosa […].
Dove c’è il [relativo], c’è l’ [assoluto]. […] Il fatto che io sia qui significa che la vera natura di buddha è qui. In questo momento, io sono un’espressione della natura di buddha. Non sono solo io. È qualcosa di più, ma io sto esprimendo la vera natura a mio modo. Il fatto che io sia qui significa che tutto l’universo è qui […].
[…] La maggior parte della gente inizia a studiare lo zen per capire che cosa sia. Questo è già un errore. Sono tutti alla ricerca di una qualche comprensione o di regole da seguire.
Il modo per studiare lo zen dovrebbe somigliare al modo in cui i pesci trovano il cibo. Non cercano di prendere nulla. Si limitano a nuotare qui e là e se arriva qualcosa di buono, snap! […]
Dovremmo essere come i pesci, che nuotano sempre qua e là nel fiume. Quelli sono studenti zen! Dogen Zenji dice: «Gli uccelli non hanno bisogno di conoscere quale sia il limite del cielo o cosa sia il cielo prima di volare». Gli uccelli volano semplicemente nel vasto cielo. Ecco come pratichiamo lo zazen.
[…] Dovreste fare le cose come un mulo o un asino.
[…] È il modo per comprendere la sorgente dell’insegnamento. È facile chiedersi cosa sia questa sorgente. Non è qualcosa che potete comprendere attraverso le parole, ma piuttosto qualcosa che sperimentate quando fate le cose in modo del tutto naturale e intuitivo senza dire ‘bene’ o ‘male’. […] Istante dopo istante dovremmo seguire lo scorrere del tempo. Dovreste andare con il tempo”[…].
Non c’è nulla da cercare, non c’è nulla da ottenere. La natura di buddha si estrinseca nell’azione della vita quotidiana. Nell’agire comune, semplice, ordinario è la natura di buddha che muove, che sottostà, che si presentifica (recuperare dal passato e riportare al presente – ndr). Allora non c’è nessuno stato cui arrivare, nessuna realizzazione da fare propria, nessuna verità da scoprire. O meglio, l’unica verità consiste in questo disvelare, l’unica realizzazione sta in questo sentire la rivelazione della buddhità nel gesto quotidiano.
Non si dà nessuna buddhità astratta da fare propria, non c’è nessuna buddhità al di là del nostro operare ordinario; quindi nessuna buddhità come esito di un’operazione di ascetismo su di esso. La buddhità è nella naturalezza delle cose, degli eventi, dell’agire. Il Buddha è chi naturalmente vive, molto semplicemente: è solo questo. È solo questo essere qui, solo questa presenza nella realtà, questa aderenza al suo essere quello che è. Senza più nessun cercare, svuotato da qualsiasi volere altro. In lui allora relativo e assoluto sono la medesima cosa.
La buddhità si estrinseca nella vita ordinaria e la sua semplicità consiste nell’aver posto termine al domandare, al ricercare. È come l’uccello che vola in cielo, come il pesce che nuota nel mare. Qualsiasi domanda filosofica, esistenziale sull’essenza del cielo o del mare, da parte dell’uccello e del pesce, sarebbero per essi l’uscita dal loro stato di splendore naturale. Un interrogare di questo tipo denuncerebbe la reificazione (processo mentale per cui si converte in un oggetto concreto e materiale il contenuto di un’esperienza astratta – ndr), da parte loro, della buddhità originariamente e perennemente agente in essi. Sarebbe dualismo: non si dà uccello e cielo, non esiste pesce e mare; solo il volare dell’uccello nel cielo, solo il nuotare del pesce nel mare. Interrogarsi sull’essenza del cielo e del mare sarebbe per loro l’uscita dalla verità della realtà, dal suo continuo lampeggiare; sarebbe il mancato appuntamento all’essere presenti ad essa.
Non c’è una questione da comprendere; è solo il fare della tua quotidianità, libero dai dualismi. È solo l’essere immersi nella temporalità della realtà, è il fluire con essa, senza l’ostacolo del domandare, che è il suo bloccarla. È come il mulo che lavora: fa semplicemente quello che fa, senza aspettative, senza paure, senza richieste, senza speranze. È aderente alla sua natura, è semplicemente un mulo.»
(Da: Rami d’acqua scorrono nell’ombra – Commento zen al Sandokai di Shunryu Suzuki-roshi (1904-1971), fondatore del San Francisco Zen Center e dello Zen Mountain Center di Tassajara. Un monaco zen della scuola Soto noto in tutto il mondo grazie soprattutto al suo “Mente zen, mente di principiante“)
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