Le considerazioni che mi accingo a sottoporvi nascono dalla necessità di essere sempre più chiari per tentare di superare vaghezza e nebulosità. Infatti la spiritualità non è un’emergenza indistinta e relativa, ma una realtà concreta e condivisa.
Ricerca
Visitare la propria interiorità per conoscere se stessi, ma a quale scopo? Cosa speriamo o supponiamo di rinvenirvi? Segreti occulti, circostanze metafisiche relativamente aleatorie, benefici concreti? Cerchiamo di comprendere richiamandoci a coloro che conobbero davvero.
Un momento, quanto di queste eroiche figure corrisponde alla realtà e non all’immaginario collettivo che, nel corso dei secoli, le idealizzò e mitizzò? Epigoni dello spirito, figli di dei senza riscontri, formidabili e coraggiosi pionieri, o esploratori seri e attendibili? Risultanze storiche suffragate da elementi concreti.
Senonché qualcosa non funzionò. Dove condussero i sentieri da essi tracciati? Quali di noi li ripercorsero davvero, che accadde? Gli insegnamenti del Buddha, del Cristo, della maggior parte dei maestri spirituali del passato, furono mistificati e perlopiù disattesi.
Sovente, a causa di trascuratezza e superficialità, le nostre stesse ricerche sono condizionate in partenza da nebbiose aspettative. Ancor prima d’intraprenderle nutriamo già idee preconcette su quali dovrebbero essere le rispondenze finali. Mi chiedo se sia possibile evitare siffatte influenze o suggestioni per riscoprire, in se stessi e nella propria vita, quegli elementi di autentica spiritualità atti a favorire vero benessere, contentezza e prosperità.
Tuttavia, prima di addentrarci ulteriormente nella nostra disamina, è indispensabile puntualizzare che le suddette realizzazioni non pioveranno dall’alto. Quindi è utile comprendere sia pur in modo sintetico e approssimativo, in che misura disciplinarsi e cosa sia la moralità.
Moralità
Cominciamo dalla moralità. Mi sembra che nel corso delle nostre occasionali riflessioni abbiamo già fatto dei notevoli progressi. Moralità e consapevolezza non sono disgiunte. Un individuo consapevole non agisce d’impulso soggiacendo a impeti e slanci irrazionali, ma è indotto sempre e con la massima naturalezza a considerare costantemente il risultato delle proprie azioni. Invece il moralismo è tutt’altro affare. Moralista è colui che predica un certo tipo di comportamento, una serie di regole preordinate e predeterminate da un orientamento ideologico aprioristico, cioè dal suo credo, ma poi, quasi immancabilmente, non le rispetta. Quindi diventa, tranne che in casi rari quanto eccezionali, suo malgrado ipocrita.
La moralità, comunemente intesa, non ha nulla a che vedere con il concetto di purezza. Una mente pura è innanzitutto una mente silente, consapevole e sincera. Una mente che non cerca di dominare, d’imporsi, perché non deve dimostrare le sue capacità. Tuttavia, pur senza pretendere di dominare, s’impone con la sua tolleranza, con amore, compassione e rispetto.
In quest’ottica, il peccato, che preferisco chiamare errore, è l’identificazione inconsapevole con l’oggetto del desiderio.
Sicché ritorniamo alla prima questione testé formulata. In che misura è indispensabile disciplinarsi? Nella misura in cui bisogna dedicare la giusta attenzione. Il punto è importantissimo. Se ci si disciplina a seguire determinate regole di comportamento il gioco, l’impegno, non avrà mai fine. Se invece ci si disciplina ad essere consapevoli del proprio corpo e della mente, in tal caso è possibile raggiungere un momento oltre il quale la consapevolezza fluirà da sé e risulterà impossibile intraprendere azioni che arrechino danno a chiunque, ovvero diano luogo a contegni ingiusti e violenti.
Si tratta di argomenti molto semplici ed arcinoti. Seguirli in pratica è arduo. Ci vuole coraggio ed alcune altre cose, come – ad esempio – star bene, godere di una buona salute. Naturalmente stiamo esaminando solo un aspetto della questione, un certo tipo di approccio. Ne esistono diversi e tutti altrettanto validi.
Compromessi
A questo punto mi chiedo. Ma si può predicare un compromesso? L’esortazione del Cristo – ama il tuo prossimo come te stesso – è forse un compromesso? Ci sarebbe pure da dire che nessuno ama davvero se stesso. Altrimenti le nostre situazioni individuali sarebbero ben diverse. Il fatto è che per amare davvero se stessi bisogna prima ri-conoscersi. Non tanto se ci sia qualcuno degno di essere amato, quanto se quel qualcuno esista davvero.
Cosa c’è al di là delle apparenze, delle credenze, idee, spirito? Non lo sappiamo. V’è un nulla che diventa il tutto. Un nulla che una volta intuito e percepito può trasformarsi (rivelarsi?), in men che non si dica, nell’essenza medesima. Come quando l’oscurità della notte sta per lasciarci, ma il sole non è ancora sorto, un fenomeno transitorio. E’ ciò che circonda il nucleo, l’alone del nostro volto originale. Questo ricopre e protegge l’interiorità più intima. Una dimensione che trascende il fisico ed il mentale e che potrebbe essere descritta solo dall’interno. La dimensione della meditazione.
Conclusione
Ovviamente si fa per dire, non v’è mai conclusione. La vita è un processo dialettico in itinere che si avviluppa apparentemente sulle parole, le immagini, i suoni, ma poi si districa e sviluppa nell’impellenza della quotidianità, nell’emergenza di coloro che soffrono davvero, perché hanno fame, sete, che sono senza un lavoro, oppure ne hanno uno precario, soccombendo alle ingiustizie di chi si dichiara bellamente credente, ma non si duole né rimedia alla propria condotta morale.
Ce li siamo dimenticati, o la pantomima spirituale è solo un altro modo elegante e raffinato per credere, stavolta si, di esser diventati davvero migliori?
Articolo del 2005. Grazie per la cortese attenzione.