Nel 2001, anno in cui comparve per la prima volta questo breve articolo ritenevo, sinceramente, che si potesse diventare migliori. Ora, a distanza di anni, ne sono più che mai convinto, ma credo sia utile una breve precisazione introduttiva: quanto più riusciremo a essere noi stessi, tanto più ci incammineremo sul sentiero del miglioramento, sulla via della meditazione … Brevi riflessioni, formulate in prospettiva spirituale, sulla possibilità di migliorare.
Uno degli scopi della meditazione, forse il più importante, è quello di diventare migliori. Attenzione, però. Non i migliori. Bensì, semplicemente, migliori. Ma rispetto a che cosa? A noi stessi, è ovvio.
Consentitemi una semplificazione. Esistono due modi per superare il dualismo implicito negli esseri e nelle cose e conseguire, quindi, quella mentalità caratteristica che genera benessere: il primo sistema consiste nel divenire autentici, equanimi, altruisti, quindi migliori, per meditare (o pregare) più agevolmente e con successo; il secondo metodo sarebbe, invece, quello di meditare subito (attenzione, consapevolezza) per esprimere dopo, ma in modo spontaneo, naturale e sincero, autenticità, sincerità, equanimità, altruismo. La prima è la prassi delle religioni organizzate. Il secondo criterio, pur essendo più umile e oscuro, molto meno appariscente, senz’altro soggettivo, è comunque preferibile in quanto non consente ipocrisie o finzioni. Quando si supera il fideismo pseudomagico degli sciocchi, infantili e irrazionali ritualismi la sola celebrazione possibile è la gioia.
Pertanto, la condizione di benessere interiore raggiunta con la meditazione ci consentirà di essere più disponibili al dialogo e meno intolleranti. L’amore per il prossimo, per la libertà e la giustizia sociale non saranno più utopie o declamazioni ipocrite, bensì sentimenti reali.
Tuttavia sarà bene precisare ulteriormente, perché in taluni potrebbe sorgere la domanda: quali sono le declamazioni ipocrite? Un esempio: la retorica convenzionale recita solidarietà; bene, è più che giusto soccorrere chi ha bisogno, ma innanzitutto bisogna creare le condizioni per consentire il superamento di ogni infima condizione di perenne necessità; sono cioè indispensabili interventi strutturali e non sostegni episodici. Il vero aiuto consiste nel favorire sia l’indipendenza economica che l’autodeterminazione psicologica.
Durante il corso di alcune precedenti riflessioni abbiamo accennato all’influenza negativa della propaganda. Sia quella religiosa che politica. Ma noi siamo interessati a quel che unisce e non a ciò che divide. In effetti è una profezia facile a dirsi. Tutti coloro che, sospinti da scopi egoistici, tendono a creare disuguaglianze e divisioni sono inevitabilmente destinati ad essere sconfitti, a soccombere. Perché l’amore unisce e condivide. La sua massima espressione consiste nella reciprocità. Al contrario, l’odio, allontana, separa, distingue, mente e nel tentativo di sopravvivere a se stesso si dichiara solidale. E’ chiaro, dunque, l’odio divide, l’amore unisce, la reciprocità li trascende entrambi.
La reciprocità è il punto d’incontro e di equilibrio tra la forza centrifuga che tende a separare e quella centripeta incline a unire. Ciò vale sia nel mondo fisico, ossia l’usuale dimensione percettiva, che nell’universo spirituale, ovvero l’ambito della realtà che trascende sia la relatività che l’illusione.
E nel contesto sociale cosa accade? Se il cervello umano è la fucina del pensiero, la società ne è il laboratorio. Qui le uniche accortezze sensate sarebbero quelle di privilegiare ed incoraggiare la ricerca, mai definitiva, degli equilibri e rinnegare l’estrema, crudele, perfida malvagità di ogni spinta alla divisione, alla disgregazione, all’involuzione, alla degenerazione.
Grazie per la cortese attenzione.