Nel nostro vagare incessante alla ricerca di un appagamento, spesso ignoriamo che la gioia più autentica non si trova in ciò che vediamo, ma nello spazio silenzioso da cui osserviamo. Ci muoviamo come raminghi in un mare di immagini fluenti, cercando una felicità duratura tra stati d’animo che si avvicendano senza sosta, senza accorgerci che essa si cela proprio alle loro spalle. Talvolta, la vivacità di un sorriso ci coglie per un istante, un fugace promemoria di una serenità più profonda che ci pervade solo se glielo consentiamo. Il percorso del cercatore giunge a una svolta quando l’attenzione smette di rincorrere le onde in superficie per rivolgersi alla quiete dell’oceano. La pratica della meditazione è un invito a questo cambiamento di prospettiva: un mirare silente verso l’apice della nostra stessa coscienza, esaminando non più gli oggetti dell’esperienza, ma l’orizzonte, ossia la retrospettiva consapevole che li contiene, lì dove dimora la gioia che dona il tutto.
Un sorriso non tradisce mai. Anche se la gioia dell’esistenza non può essere individuata nell’immediato, come ad esempio quella di un volto che ammicca felice, ma si cela tra gli stati d’animo che si avvicendano senza sosta, quella vivacità, il suo sorriso, ti centrano comunque. Sempre che tu lo voglia, glielo consenta, ti pervade ogni volta …
Ramingo
Vola, ramingo,
il ciclo fantasy
è quasi giunto all’epilogo.
Mira, silente,
la sede dell’innominabile,
all’apice, al vertice, … della tua coscienza.
Cerchi l’univoco?
Esamina lo sfondo
sotteso all’esistente
tra le virtuose pieghe
del tempo che si crogiola
in un mare d’immagini fluenti,
trova la gioia che ti darà il tutto.
Epilogo
Quando il ciclo di fantasie del ramingo giunge al suo epilogo, la ricerca dell’univoco si conclude non con una risposta, ma con un cambiamento di dimora. La gioia che dona il tutto non si trova in una nuova immagine, né in un pensiero più elevato, ma nel riconoscimento della propria natura quale sfondo immutabile di ogni esperienza. “Mirare alla sede dell’innominabile” significa posare la propria attenzione su quella quiete che precede ogni parola e ogni forma, quel vertice della coscienza che è pura potenzialità. Comprendiamo allora che la felicità non era nascosta tra le pieghe del tempo, ma era il tempo stesso, visto dalla prospettiva dell’eternità. La vera pace è smettere di essere il viandante perso nel paesaggio e riconoscersi come il cielo silenzioso che accoglie, senza sforzo, ogni nuvola di passaggio.
