Sino a pochi giorni fa non avrei voluto pubblicare questi nuovi appunti. Poi, però, stimolato da un messaggio piuttosto arguto e interessante, ho deciso di riportare le mie più recenti considerazioni. Proprio a caldo. Quale momento migliore?
Interdipendenza
Che cos’è la verità? Non è certamente un elemento fisso, statico o irraggiungibile. Tanto meno un’imperscrutabile orizzonte esistenziale. La percezione della verità dipende dalla propria consapevolezza. Essere più consapevoli è come salire gradualmente più in alto e scorgere un panorama sempre più ampio, la cui linea d’orizzonte si allontana viepiù, sino al limite della percezione fisica. Limite al di là del quale subentra la conoscenza intuitiva.
La vera natura del cammino spirituale non è l’assimilazione o lo sviluppo di qualità specifiche, bensì un processo di comprensione che si approfondisce di pari passo con la consapevolezza della nostra natura più intima.
La via spirituale non è mera ricerca o disciplina, non è l’adesione ad un principio, non è la succube accettazione di un credo o di una fede, ma è comprensione, più o meno graduale o repentina, delle relazioni globali, della nostra reciproca interdipendenza.
Riporto ora l’interessante quesito di un cortese visitatore che, forse senza volerlo, ci aiuta a comprendere meglio un risvolto della prassi meditativa sovente frainteso.
Nome del mittente: Christian
Oggetto: riflessioni
Quesito
Salve, mi chiamo Christian e ho 23 anni, nella riflessione “come riuscire ad essere se stessi” l’insegnante di meditazione ha scritto che bisogna cercare di promuovere l’unità reale di tutti gli esseri al fine di superare la diversità apparente e contingente delle cose; mi potresti precisare ciò che intendeva dire?
Credetemi io non so cosa significhi essere me stesso, semplicemente non so chi sono e più me lo chiedo meno lo so. E’ un dilemma a cui non so rispondere e mi provoca parecchia sofferenza. Non m’intendo molto di meditazione … mi sto aggiornando. Penso che “essere se stessi” sia, in definitiva, un fatto del tutto comune, e che soffrire a causa di dubbi o ignoranza sia innaturale. Sapreste dirmi cos’è che ci rende così diversi e artificiosi? In cosa consiste il male che si insinua in noi, ci fa diventare insoddisfatti e induce o crea una confusione talvolta tremenda? Sapreste indicarmi un rimedio? Chi sono io? E come faccio ad essere me stesso? Grazie.
Risposta
Mi fa piacere ricevere quesiti così sensati. In effetti li considero interventi e gli riservo l’evidenza che meritano. Alcuni visitatori sono persino più interessati alle domande che non alle risposte. Ciò perché le domande sottendono frammenti di vite vissute, persone reali che cercano, indagano, s’interrogano, deducono, lottano oppure si arrendono. Niente di più bello e affascinante. La poesia e la ragione tessono trame inestricabili, quasi inesplicabili. Ed io, dalla mia modesta postazione virtuale, dietro il monitor-finestra che mi proietta nel fulgido mondo-vetrina di internet, cerco di rispondere attenendomi, mio malgrado, a idee e modelli di pensiero preconcetti.
L’altro giorno leggevo che la ricerca in campo spirituale non è poi così vantaggiosa. Ma se prima non si è tentato di comprendere se stessi, così come sta facendo il nostro interlocutore, com’è possibile, anche solo sperare, ch’essa giungerà mai a termine? Ovviamente do per scontato che la ricerca sia una esigenza naturale, un’occorrenza spontanea. Mi sembra chiaro che nessuno di noi ha le chiavi per aprire le porte dell’incommensurabile e svelarne gli arcani. I pochi segreti ancora rimasti sono per i pivelli? Chissà … forse per individui così amorevoli e devoti da sentirsi grati comunque, in ogni istante e ad ogni respiro, per il solo fatto di esistere.
Cercare di promuovere l’unità reale di tutti gli esseri al fine di superare la diversità apparente e contingente delle cose è un concetto che può essere descritto con una metafora arcinota. Noi non siamo isole separate, ma come le onde di un medesimo oceano che emergono, seguono il proprio corso e poi, inevitabilmente, declinano, vengono riassorbite temporaneamente dal contesto senza, per tale evenienza, giungere mai a termine.
Promuovere … significa tentare di divenire consapevoli della propria origine. In genere si tende a concepire l’universo come un meccanismo. Invece è molto di più. L’universo è un organismo cosmico, indivisibile, eterno. La sua natura primigenia è una, le sue manifestazioni plurime.
La consapevolezza della propria origine, una realizzazione individuale cui in genere si perviene intuitivamente dopo aver meditato per un congruo e soggettivo periodo di tempo, predispone spontaneamente alla rinuncia o al superamento delle istanze di un ego avido e violento da cui discendono pure bramosia, senso di possesso indiscriminato, volontà di predominio.
La conseguenza naturale della consapevolezza così raggiunta sarà più attenzione, comprensione delle ragioni altrui, sollecitudine, tolleranza, amorevolezza, senso di libertà, reciprocità, compassione. Tali stati d’animo non piovono dal nulla. Sono la conseguenza indiretta di una nuova, esuberante e vivace vitalità che sembra provenire da una sorgente ristoratrice cui pare di poter attingere all’infinito e che si trova dentro di noi, oppure dovunque, dipende solo dalla propria prospettiva. Quanto più individui riusciranno ad essere minimamente consapevoli, tanto più la società nel suo complesso risulterà migliore. Dapprima impercettibilmente, via via in progressione sempre più rapida.
Il contesto sta mutando. E’ sotto gli occhi di tutti. Se le religioni di tipo tradizionale intendono sopravvivere e prosperare dovranno adeguarsi e recepire le nuova linfa rigenerante che il rinnovamento della cultura consapevole promuove in ambito sociale. Adeguarsi, rinunciare ad avversare la consapevolezza. Non è una novità. Infatti persino i maestri promotori di tali antichi culti subirono ignominiose persecuzioni. I tempi sono diversi, la tecnologia è preponderante, gli individui più attenti e meno passivi. Rinunciare alle istanze pseudomeditative che favoriscono l’incoscienza, il torpore del giudizio, l’indottrinamento preadolescenziale, l’autosuggestione. In ogni caso, ciò che ora sembra negativo, come la globalizzazione, agevolerà sicuramente la diffusione di questa nuova cultura di consapevolezza le cui radici provengono dall’Oriente, ma il cui sviluppo sta avvenendo secondo canoni occidentali. Qualunque sia la strategia di rinnovamento adottata sarà inevitabile ammettere pubblicamente che tutte le religioni si riferiscono allo stesso Dio e che nessuna religione possiede la verità assoluta.
Eppure, così descritta, questa strana faccenda della consapevolezza, potrebbe sembrare tutto un quadretto idilliaco. Invece il primo passo da compiere resterà pur sempre la cognizione della propria sofferenza, ovvero l’intuizione di essere incompleti, parziali, che una parte oltremodo rilevante di noi stessi sfugge alla nostra visione, oppure è stata rimossa e relegata in ambiti meno consci.
Se ricordo bene hai chiesto qualcosa circa un certo malessere che si manifesta rendendoti insoddisfatto. Ma la frustrazione per un mancato appagamento non va considerata come una presenza di afflizione e tormento, bensì come un’assenza di felicità, contentezza, brio, festosità. La gioia può essere anche immotivata. La sua fonte è la nostra interiorità. Oppure il mondo, quando riusciremo a superare ogni ambiguo dualismo e oltrepassare le divisioni fittizie.
“Chi sono io” è una domanda senza senso. Sono ciò che percepisco. Se non comprendo è perché mi manca una visione d’assieme oggettiva. Una carenza che può esser sopperita tramite l’auto-osservazione. Un iter cognitivo percorribile a più velocità. Ci sarà chi tentennerà per molto e chi intuirà subito il non-senso di questa ricerca. Preciso, una ricerca utile, per taluni indispensabile, ma del tutto relativa.
Il cercatore, cioè colui che si pone domande esistenziali come le tue, e l’oggetto dell’indagine cognitiva alla fin fine coincidono sempre. Ciò che rimane, la vera risorsa, è proprio la ricerca, l’azione consapevole.
Tu affermi di avvertire una carenza, un’insoddisfazione che genera confusione. Ora, fermo restando che presumo tu abbia una salute eccellente – altrimenti dovresti ricorrere ad un medico e non alla spiritualità; scusami, ma non posso evitare di precisarlo – l’incontro con la tua interiorità, l’essenza spirituale o se preferisci, divina, che non è un fenomeno statico, ma un evento dinamico, potrebbe dimostrarsi determinante. Sarebbe pur sempre un semplice esordio, l’inizio di un viaggio esplorativo. Cosa troverai? L’incontro, una situazione al di là del tempo, che si realizza o si consegue nel silenzio e nel vuoto informale del tuo illimitato spazio interiore, in un frangente senza passato, privo di futuro, al cospetto di un’assenza così paradossale da trasformarsi in men che non si dica nel suo esatto contrario, la presenza assoluta.
Come vuoi che ti descriva meglio tali circostanze? Dov’è il mio ego, donde proviene, esiste davvero? E’ una domanda condizionata. Qualunque cosa risponda sarà vera solo per me. L’esercizio della meditazione, come quello della preghiera consapevole, è un metodo per rendersi disponibili ad uno straordinario e sorprendente tipo di fioritura, la percezione della fragranza interiore. Ma si potrebbe anche dire che la meditazione è un espediente utile a prendere atto di una prerogativa soprattutto intima, la nostra natura d’indefinibili e irriducibili Buddha.
Pratica
Il mio insegnante fu un individuo pratico. Ripeteva spesso che l’azione concreta e consapevole precede sempre la teoria ed è insostituibile. Quindi suggeriva e stimolava con indicazioni semplici, tangibili ed efficaci.
Osserva il tuo respiro, così com’è. Nessuna tensione, nessuna aspettativa, altrimenti sarà meglio farsi una bella passeggiata. La posizione, consona e con la spina dorsale eretta, è importante. Sii attento e persevera. Ma se ti distrai non importa. Non appena te ne accorgi prendine nota: mi sono distratto. Persino il giorno e la notte si susseguono ed inseguono a vicenda. Bene, ora prosegui nell’osservazione. Attenzione, anche se il respiro si affievolisce non perderlo mai di vista. Non sopprimere il pensiero, dovrai solo astenerti, per un breve frangente, ovvero la durata della tua meditazione, dall’immaginare. Se subentra qualunque altro tipo d’impedimento e disagio, non insistere. Questo esercizio di meditazione è uno tra i tanti, io cercherò di descrivertelo gradualmente, ma non è detto che faccia necessariamente al caso tuo. Non pretendere risultati rapidi, non ce ne saranno. Perlomeno fin quando non li avrai davvero dimenticati.
Epilogo
Quasi sempre, tranne che in alcuni casi straordinari o adottando tecniche con modalità dinamiche, gli esercizi di meditazione non hanno effetti immediati. I risultati non si manifestano, quindi, durante l’esecuzione dell’esercizio. Solo successivamente, quando non ci crederemo più, o l’avremo finanche dimenticato, e quando incanti e suggestioni avranno lasciato lo spazio all’umiltà della pratica, solo allora, forse, ci accorgeremo di essere ritornati nuovamente in noi stessi. Dove? Ma da nessuna parte, è ovvio!